venerdì 8 dicembre 2023
Da Sfera Ebbasta a Emis Killa, da Fedez a Dark Polo gang, tra libertà d'espressione e cattivo esempio...
Emis Killa in una foto di qualche anno fa

Emis Killa in una foto di qualche anno fa - Archivio ANSA

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In inglese “bitch” sta letteralmente per “cagna”, che per estensione equivale al nostro “s…za”, o anche “pu...na”. È uno dei termini più ricorrenti in molti dei testi trap (italiani e non) ed è certamente l’appellativo più utilizzato dagli artisti rap per rivolgersi alle ragazze. Facciamo qualche esempio iniziando dal rapper più ascoltato del Paese, Sfera Ebbasta: «Sul mio display la tua bitch fa lo strip per le tips…» (per i meno avvezzi: si spoglia per le mance). Oppure: «Bitch, ogni giorno non mi lasciano libero. Le ordino da casa come su Deliveroo…anche tua mamma è una mia ex…», copyright Fedez e Dark Polo gang.

C’è anche Emis Killa, recentemente al centro di una polemica dopo l’annullamento di un suo concerto proprio per i contenuti “sessisti” di alcuni suoi testi: «Piscio sopra queste bitches. In rubrica ho più ba…one che a Sin City». Ci sono poi riferimenti ancora più espliciti, anche se non contemplano l’appellativo di cui sopra. Sempre Fedez e la Dark polo gang proseguono così nella canzone già citata: «Mangio queste tipe come M&M's. Museruola e collare. Lei la tratto come un cane. Vuole che le faccio male…». Da notare l’utilizzo dei possessivi, la “mia” bitch, la “tua” bitch, che conferma la dimensione di una donna oggetto appunto. Più spesso la bitch in questione è quella degli altri, che però, stando al racconto offerto dal rapper di turno, in realtà vorrebbe stare con lui.

Ora, scrivere e cantare queste cose significa essere sessisti o promuovere il sessismo? Fedez è sessista? No, basterebbe dare un’occhiata ai contenuti del suo podcast per capire che è quanto di più lontano dal sessismo e dal patriarcato. Queste espressioni sono semmai parte di una cultura di rivendicazione sociale che si manifesta nel linguaggio di ordinanza di un rapper. Come a dire: «Vengo dalla strada, da una periferia marginale e mi sono fatto largo grazie alle rime. Ora ho i soldi, il successo, le donne e voglio sfoggiare tutto questo».

Prova ne sia il fatto che anche nei testi di alcune rapper donne e lesbiche ritroviamo le stesse parole per definire le ragazze e anche lo stesso approccio nel raccontare le conquiste amorose e sessuali delle autrici. Fedez, perciò, utilizza questi termini con leggerezza perché appartengono a quel linguaggio, a quel modello interpretativo con cui un rapper legge, analizza e racconta la realtà. Il machismo non c’entra. C’è poi un altro dato di fatto: come fu per le groupie nei confronti delle rockstar anni ’80, ci sono donne che amano essere oggetto di conquista dei rapper famosi e non danno peso alla considerazione che ricevono.

Le ragazze a cui si riferiscono questi testi non sono quindi persone specifiche, ma parte di quel pacchetto che il successo di un rapper porta con sé. Come detto, è difficile credere che Fedez o Sfera si rivolgano così alle loro mogli o compagne.

Ma è indubbio che un certo modo di parlare delle donne può facilmente essere sdoganato e utilizzato da chi artista non è (e neanche uomo fatto magari) e che, da giovane fan, può confondere la propria vita con quella luccicante e sopra le righe di un cantante. Poiché i modelli spesso plasmano i comportamenti, può accadere quindi di scorrere la bacheca di Ciro Grillo (figlio del più noto Beppe e sotto processo per un presunto stupro di gruppo) e imbattersi in una foto che lo immortala a torso nudo con un’eloquente scritta di accompagnamento: «La tua bitch mi guarda». In generale, un linguaggio (e con esso uno stile) può diffondersi con disinvoltura tra i più giovani, che lo fanno proprio senza avere gli strumenti e i filtri per capirne il contesto.

Questa certo non può essere responsabilità degli artisti, perché altrimenti i Beatles, i Guns n’ Roses o Eric Clapton dovrebbero esserlo per chiunque abbia deciso di provare alcool, droghe o altro dopo aver sentito le loro canzoni, che quelle sostanze hanno in modo più o meno esplicito celebrato. E lo stesso si può dire di film, libri o altre forme d’arte. Resta da chiedersi però se da un grande successo derivino o meno grandi responsabilità e se tra queste rientri quella di accompagnare i propri testi, senza per questo autocensurarsi, con dichiarazioni, commenti o attività che aiutino a comprenderne la dimensione e agevolino il discernimento dei fan più “impreparati”.

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