Mercati, piazze, promesse: viaggio nel Veneto che si prepara al dopo Zaia
di Diego Motta, inviato a Vicenza
Da Padova a Mestre e Vicenza, abbiamo seguito i candidati alla presidenza della Regione nei tour elettorali. Su welfare, ambiente e nuove generazioni i punti in comune non mancano

«Mi raccomando, dica ai suoi figli e ai suoi nipoti di votare». Nei mercati del Veneto, tra banchetti ancora poco affollati e iniziative pubbliche, il tono dei discorsi che si fanno parlando con gli anziani che hanno ancora voglia di discutere di politica, è questo. L’astensione è la grande paura, in questa anomala campagna elettorale d’autunno ed è un fantasma che accomuna tutti gli schieramenti. Il viaggio in terra incognita del Veneto è iniziato ufficialmente il 18 settembre scorso, quando il presidente Luca Zaia ha firmato il decreto per l’indizione delle nuove elezioni. In realtà, è dall’inizio del terzo mandato del governatore, che il centrodestra studia la difficile successione. Nello stesso tempo, il centrosinistra cerca persone e parole nuove per convincere un elettorato che storicamente ha dimostrato di amare la continuità, almeno in politica. La sfida che si celebra domenica e lunedì prossimo sarà un test importante anche dal punto di vista economico e sociale: in una terra dove il benessere non manca ma che ha sempre l’imperativo di crescere guardando a nuovi mercati, si capirà qual è lo stato d’animo di imprese e famiglie in una stagione storica complicata: costo della vita, effetto dazi, bisogno d’autonomia, sviluppo e ambiente sono le priorità di chi chiederà il voto dei veneti. «Dopo Zaia, scrivi Zaia!» ha chiesto il presidente uscente, decidendo di candidarsi come capolista in tutte le province, al termine di un lungo tira e molla con la maggioranza di governo. Quante preferenze raccoglierà Zaia sarà una sfida nella sfida, anche se la curiosità in queste settimane di campagna elettorale si è concentrata sui volti nuovi dei due candidati principali: Alberto Stefani per il centrodestra e Giovanni Manildo per il centrosinistra.
La rincorsa dei giovani
La novità è che per una volta temi e profili dei candidati non appaiono così distanti. Lunedì 10 novembre, davanti alla platea di Confartigianato Imprese di Vicenza, i due si sono confrontati sul futuro della Regione, in uno dei tanti duelli pubblici pre-elettorali. «Entro il 2030 mancheranno 230mila lavoratori qualificati» ha sottolineato Stefani, 33 anni, già sindaco di Borgoricco, in provincia di Padova, e per due volte parlamentare con la Lega. Tutti i sondaggi lo danno favorito, non fosse altro perché al suo schieramento la competizione interna con Fratelli d’Italia, che fino all‘ultimo ha ambito alla poltrona di governatore, fa bene, moltiplicando i consensi. Da parte sua, Manildo, 56 anni, già primo cittadino di Treviso, ha rilanciato l’argomento, illuminando l’altra parte del problema. «Abbiamo perso 48mila giovani dal 2011 a oggi. Non vanno tutti all’estero, vanno anche nella vicina Emilia Romagna, dove c’è la progettualità che noi abbiamo perduto». Parlare alle nuove generazioni è un obbligo per entrambi: Stefani lo fa perché vuole essere interprete genuino del rinnovamento della classe dirigente locale. «Dobbiamo puntare sul piano casa e sulla rigenerazione urbana - spiega Stefani -. Chi nasce qui deve restarci perché sa di poter contare su un sistema di welfare, anche aziendale, molto forte, su asili nido a orario prolungato e su comunità accoglienti». I suoi collaboratori parlano del bisogno di una «rivoluzione all’insegna della gentilezza e del pragmatismo», un vocabolario non proprio salviniano. Forse è in questo tentativo di differenziarsi da chi lo ha designato che Stefani, che ha alle spalle anche una laurea in diritto canonico, si gioca la sua partita. Difficile capirne il posizionamento politico, tra chi lo definisce come «uno Zaia più giovane», chi lo vede in grado di mediare tra l’anima lombarda e quella veneta del Carroccio e chi lo descrive addirittura come un politico che sta cercando di catturare consensi a sinistra, puntando di più rispetto a chi l’ha preceduto su diritti e ambiente.

L’industria che non c’è
Quando Manildo arriva nella sede del Pd di Mestre, in un quartiere che neppure i blitz della polizia hanno reso più sicuro, sa già che l’agenda degli appuntamenti per il pomeriggio sarà impegnativa: prima l’incontro con il comitato del moto ondoso di Venezia, che vuole metterlo a conoscenza dell’effetto che 70mila barche nel Canal Grande producono sull’ecosistema della Laguna, poi toccherà alla Fondazione Carpinetum, che promuove progetti e principi di solidarietà cristiana sul territorio, infine l’atteso incontro con Pier Luigi Bersani nel teatro cittadino. «Questo può essere un momento fondativo» spiega a chi gli chiede se l’esito della sfida non sia già scontato a favore del suo avversario. «Incontro e vedo gente che ha voglia di ascoltare, percepisco una voglia di discontinuità che non c’era prima. Dobbiamo passare dal Veneto di uno al Veneto di tutti». Manildo riconosce che Zaia è stato «un fuoriclasse della comunicazione. Però ha curato benissimo soprattutto il suo consenso personale, senza badare troppo al grado di avanzamento del territorio». Il pensiero va inevitabilmente al caso di Intel e di Silicon Box, maxi-investimenti promessi e finiti nel nulla che avrebbero dovuto svilupparsi a Vigasio, nel Veronese, portando ricchezza e posti di lavoro. «La verità è che la grande industria non interessa, perché richiede competenze e visione, ignote all’amministrazione uscente -osserva Artuto Lorenzoni, già rivale di Zaia nel 2020 -. Si preferisce invece garantire il mondo agricolo: contano di più gli 8 miliardi di fatturato che arrivano direttamente dai campi dei 55 realizzati dalla media impresa» spiega l’economista, ora candidato con le liste civiche, che ci raggiunge in bicicletta nel cuore della Padova universitaria. Lorenzoni è stato vicesindaco qui e adesso invita a guardare oltre quel che succede nelle città, spesso amministrate dal centrosinistra, per inoltrarsi nel Veneto profondo. Quello che nella Prima Repubblica era il feudo della Democrazia Cristiana, è diventato dagli anni Novanta bottino di caccia della Lega, con sbandate fugaci e momentanee legate alla congiuntura politica, da Matteo Renzi a Beppe Grillo. Il motivo della resilienza padana, che ha saputo resistere anche alle sirene della secessione di bossiana memoria, si ritrova nella logica del “padroni a casa nostra”, che funziona sempre e nelle capacità di controllare il consenso in modo certosino, con un’attenzione maniacale al quotidiano. «Zaia dà del tu a tutti, stringe mani, risponde personalmente e questa è stata sicuramente una forza nel tempo. Poi ha assecondato le richieste di tutti i territori, anche quelle secondarie che però creano empatia con il suo elettorato – continua Lorenzoni -. Dall’istituzione della Giornata del Gelato al concorso sulla Bottega storica, tutto crea appartenenza e porta voti. Fa niente se poi dal punto di vista amministrativo, tutto è fermo. La regola qui è l’immobilismo». L’inerzia rassicura, garantisce a chi comanda di essere autoreferenziali senza disturbare nessuno. Non che dal territorio tutto scorra liscio. Dai migliaia in fila ad Asiago, qualche tempo fa, per chiedere di non chiudere l’ospedale, alla protesta delle mamme no Pfas e alla rivolta dei risparmiatori contro le banche, fino ai movimenti di piazza giovanili contro la violenza alle donne seguiti all’omicidio di Giulia Cecchettin, le scosse forti dalla società civile non sono mancate in questi anni. «Per questo abbiamo lanciato l’idea di un assessorato alla partecipazione, perché vanno coinvolti tutti i portatori di interesse nella gestione del governo locale e non i soliti noti» chiosa Manildo, che punta a portare alle urne chi si è sentito escluso negli ultimi anni. È un richiamo alla politica, che risuona nelle piazze e nei mercati e che ha lo stesso significato, da qualsiasi parte provenga: andare a votare domenica e lunedì è importante, perché la democrazia si costruisce sempre dal basso.

«No a deleghe in bianco»: l'invito al voto della Chiesa locale
È un forte e motivato invito al voto, quello che giunge dai vescovi del Veneto. Il rischio che l’astensione si confermi di gran lunga il primo partito anche nelle elezioni territoriali, dopo l’ultimo test probante di un anno e mezzo fa, quello delle Europee, è largamente sentito dalla Chiesa locale. «Nell’attuale fase storica così densa di complessità, di conflitti e di crisi inedite, nessuno - tanto meno il cristiano - può assumere un atteggiamento rinunciatario e individualistico. C’è bisogno del contributo di tutti», sottolineano in un messaggio i vescovi delle diocesi di Adria-Rovigo, Belluno-Feltre, Chioggia, Padova, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza e Vittorio Veneto, secondo cui «il libero voto per la promozione del bene comune rimane un diritto ma è anche un dovere». Nella visione dei pastori del Veneto, «la politica è un modo esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri e ogni cristiano è sempre chiamato a questa carità, secondo la sua vocazione e le sue possibilità d’incidenza nella vita della polis. Nessuno può abdicare alla sua responsabilità socio-politica, né può limitarsi a consegnare ad altri deleghe in bianco». Le priorità che saranno da affrontare da parte di chi, nel prossimo fine settimana, si appresta a chiedere il voto dei cittadini veneti sono diverse. L’agenda sociale e l’agenda dei valori vanno di pari passo: preoccupano per questo sia l’inverno demografico che l’emigrazione giovanile, l’invecchiamento della popolazione e le conseguenti nuove richieste di assistenza sanitaria e sociale, le questioni legate allo sviluppo territoriale e la tutela ambientale, fino alla convivenza multietnica.
«Ci stanno a cuore - scrivono i Vescovi del Veneto - la difesa della vita, dal suo concepimento alla morte naturale, la tutela del diritto universale alla salute e la garanzia di percorsi di crescita umana e culturale delle giovani generazioni nell’alleanza educativa tra il sistema scolastico pubblico - composto da scuole statali e paritarie - e le famiglie. La lotta contro la crescente povertà e l’impegno per i giovani e con i giovani nel favorirne opportunità di lavoro e possibilità concrete di trovare casa richiedono ampie alleanze e, soprattutto, politiche lungimiranti». Sul volto che dovranno avere le comunità del domani, la Chiesa locale sottolinea che «l’attuale società multiculturale guadagnerà certamente in coesione e sicurezza da un attento e saggio governo della convivenza, affinché i migranti non siano considerati soggetti da cui difendersi o unicamente come forza lavoro ma come persone con cui costruire insieme il futuro dei nostri territori». Da ultimo, appare centrale anche la questione ecologica. «La cura del creato e la tutela dell’ambiente naturale e sociale - precisano i vescovi del Veneto - richiedono attenzione alla drammatica desertificazione delle aree interne e montane e al tema dell’inquinamento». Ecco perché per descrivere quale dovrà essere il futuro sviluppo della regione, si citano tre aggettivi fondamentali: nei prossimi anni sarà necessario «uno sviluppo integrale, sostenibile e inclusivo».
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