Meno farmaci, più passeggiate: la salute mentale curata secondo il “modello Trieste”
Il Direttore del Csm di Monfalcone racconta come anche attraverso le attività le persone si riappropriano della propria vita

Un giardino in cui passeggiare in libertà, da soli o in compagnia. Un orto in cui dilettarsi nella coltivazione e acquisire nuove competenze. Uno spazio per praticare degli sport, dal basket al calcio, la pallavolo e il ping pong. Altri spazi in cui potersi dedicare a svariate attività, come la produzione di un vero giornale periodico; dei laboratori d’arte, di ricamo o di yoga e ginnastica dolce. Insieme, la possibilità di socializzare con persone che condividono interessi simili, dalla lettura al cinema. Ci troviamo in Italia, in Friuli-Venezia Giulia, e precisamente nel Centro di salute mentale (Csm) di Monfalcone, parte del Distretto Basso Isontino e del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda ASUGI, che comprende sei CSM tra Trieste e Gorizia e un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. È qui che tutte queste opportunità sono offerte gratuitamente a persone con disagio psichico dal Servizio Sanitario Nazionale. «Si tratta di un modello comunitario di accoglienza strutturato su diversi livelli, non solo in base alla gravità dei disturbi mentali, ma anche e soprattutto ai bisogni di salute, ossia orientato verso un recupero che non si concentri solo sulla cura farmacologica e l’eliminazione dei sintomi, ma che vada oltre, cercando di aiutare chi ha un disagio psichico a riappropriarsi della propria vita, accompagnando la persona in un percorso di ricerca di senso e nell’affermazione di sé lungo i principali assi dell’esistenza, dal lavoro ai rapporti affettivi, alla casa», spiega il dottor Giovanni Austoni, Direttore del Centro.
Potrebbe sembrare scontato che i luoghi di cura della salute mentale adesso si dedichino alla rinascita del paziente a tutto tondo, ma in molti Paesi del mondo questi in realtà sono ancora sinonimo di costrizione o, talvolta, abbandono. In Italia, invece, nei territori da cui partì la rivoluzione di Basaglia che portò alla chiusura dei manicomi, va avanti da allora una tradizione che oggi fa del cosiddetto “modello Trieste” un punto di riferimento nel campo dei Servizi di Salute Mentale territoriali, elogiato anche da prestigiose riviste mediche internazionali e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Come ci riescano, ce lo racconta ancora Austoni, che mette in evidenza alcuni punti di forza caratteristici dell’approccio territoriale di comunità, via via sempre più diffusi anche a livello nazionale, seppur con qualche discontinuità, a volte anche evidenti. «I nostri Servizi cercano di privilegiare il più possibile i trattamenti volontari. Più del 99% delle persone seguite vengono qui da sé. I Servizi, inoltre, sono definiti a bassa soglia, in quanto l’accesso è estremamente facilitato. Anche senza impegnativa del medico di base, si può accedere direttamente e chiedere un momento di ascolto oppure segnalare una problematica. Quando invece qualcuno inizia un percorso in CSM contro la propria volontà, attraverso la relazione cerchiamo con pazienza di costruire quella motivazione che permette di coinvolgere la persona e dare buoni esiti al percorso di cura».
L’approccio – basato sulla collaborazione attiva con il Terzo Settore soprattutto per l’organizzazione delle attività esterne – ha dimostrato in effetti di ottenere risultati superiori a costi inferiori, proprio perché si curano le persone «in stretta prossimità con il loro territorio, evitando di ospedalizzarle e sradicarle dalla loro comunità». Di grande rilevanza nell’approccio del Csm di Monfalcone – che copre un territorio di circa 74mila abitanti e segue oltre mille persone all’anno – è la presa in carico dei casi più gravi con un lavoro di equipe multiprofessionale: «Il gruppo di lavoro è composto da psichiatri, un assistente sociale, uno psicologo, infermieri e Oss, educatori e tecnici della riabilitazione psichiatrica, per seguire le persone in modo completo e abbracciando la complessità». Ma la vera peculiarità del Csm di Monfalcone e di tutto il DSM di cui fa parte – che a livello nazionale e fuori dal Fvg si ritrova solo in pochissime isolate realtà –, è la presenza di posti letto in sede, dunque al di fuori dell’ospedale: «Noi ne abbiamo otto, disposti in spazi con un’atmosfera confortevole, poco medicalizzata, a porte aperte e senza mai ricorrere a contenzioni meccaniche. Queste caratteristiche, insieme agli ampi orari di apertura diurna, fanno sì che siamo praticamente attivi h24, sette giorni su sette».
Il modello descritto non è quindi quello del classico servizio esclusivamente sanitario-ambulatoriale, «perché abbiamo una spiccata componente di integrazione socio-sanitaria». L’obiettivo, conclude Austoni, è «far sì che il Csm rappresenti il cardine delle progettualità di salute mentale territoriale, per dare una risposta più efficace e non frammentata alle esigenze della comunità, restituendole un ruolo da protagonista attivo».
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