Marano, San Luca, Nettuno: viaggio tra i Comuni sciolti per mafia

Nel dossier dell'associazione Avviso Pubblico dati inquietanti: in 34 anni, 402 scioglimenti di enti locali, in media uno al mese. Da Nord a Sud, ecco la mappa delle infiltrazioni criminali nella pubblica amministrazione. La sottosegretaria al ministero dell'Interno, Ferro: lavoriamo alla riforma delle norme
December 2, 2025
Marano, San Luca, Nettuno: viaggio tra i Comuni sciolti per mafia
Dall'alto della collina partenopea dei Camaldoli, gli oltre cinquantamila cittadini di Marano di Napoli guardano al futuro amministrativo del proprio Comune non senza qualche incertezza. Già perché negli ultimi trent'anni l'amministrazione in questione è già stata sciolta ben 5 volte per infiltrazioni mafiose, tre nell'ultima decade, e attualmente si trova sotto gestione straordinaria. Ma Marano non è la sola cittadina italiana con simili trascorsi. Nel Lazio c'è Nettuno, unico Comune del Centro-Nord a essere stato sciolto due volte. In Piemonte ci sono Leinì e Rivarolo,  sciolti nel 2012 in seguito alle indagini dell'operazione Minotauro sul radicamento della 'ndrangheta nel Torinese. E in Calabria, fra i tanti, spicca San Luca, nel Reggino, da decenni insidiato dalle cosche, giunto al terzo scioglimento e assurto suo malgrado ad emblema della difficoltà di un risanamento e della carenza di persone che provano a candidarsi, tanto che ancora oggi è gestito da un commissario straordinario. Una dopo l'altra, nel corso degli anni, quei fatti hanno rappresentato e continuano a rappresentare un'emergenza democratica che mina le istituzioni, l'economia e la fiducia dei cittadini nella pubblica amministrazione. Le statistiche, di per sé, sono inquietanti: dal 2 agosto 1991 al 30 settembre 2025, sono ben 402 gli scioglimenti di enti locali per infiltrazioni mafiose (stabiliti dal Consiglio dei ministri e promulgati da decreti del Presidente della Repubblica). In media, in 34 anni, uno scioglimento al mese, con un trend che ha toccato un allarmante picco durante i primi tre anni di applicazione della nuova legge, dal 1991 al 1993, con 76 scioglimenti, poi ne ha registrati 61 fra il 1994 e il 2004  e quindi  altre ondate (nel 2005, ben 13) fino ad assestarsi via via (40 decreti fra il 2006 e il 2011) e nuovi picchi (oltre 20 provvedimenti l'anno) nel 2012 e fra il 2017 e il 2019. Dati e analisi raccolti dall'associazione Avviso Pubblico, che riunisce enti locali impegnati nell'educazione alla legalità - e che sono stati diffusi a Roma durante la presentazione del dossier "Il male in Comune", presso la Federazione Nazionale della stampa.
I Governi che hanno sciolto di più (Gentiloni e Monti) e gli enti "recidivi"
Stando al dossier, i governi che hanno adottato il maggior numero di decreti di scioglimento (anche in relazione alla propria durata), sono stati quello guidato da Paolo Gentiloni (con 38 decreti dal 12 dicembre 2016 al 1 giugno 2018) e quello del professor Mario Monti (36 decreti, dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013), entrambi esecutivi di fine legislatura e appoggiati da maggioranze trasversali. In totale, i 402 scioglimenti hanno riguardato 294 enti locali (288 Comuni e 6 Aziende sanitarie provinciali), per via di scioglimenti plurimi di uno stesso ente: sono infatti 83 le amministrazioni locali che hanno subito due o piu' scioglimenti dal 1991 a oggi. Nel dolente elenco, primeggia come detto Marano di Napoli, con 5 provvedimenti, ma seguono 22 enti locali (fra cui il comune calabrese San Luca) sciolti tre volte; 60 per due volte; e i restanti 211 una sola. Vanno tuttavia menzionate anche, fra il 2010 e il 30 settembre del 2025, 59 archiviazioni, tenendo conto del fatto che il giudicato conferma in genere con la maggioranza delle sentenze la misura dell'esecutivo, a parte alcuni casi (24, meno del 6% del totale) in cui Tar e Consiglio di Stato hanno disposto l'annullamento dei decreti, con motivazioni dei giudici basate sulla considerazione della mancata individuazione degli "elementi univoci, concreti e rilevanti" in grado di dimostrare il collegamento o condizionamento mafioso. "Ci occupiamo di questo tema da sei anni ed emergono dati importanti. Uno su tutti: un comune sciolto al mese. Questo ci dice che la presenza criminale mafiosa impatta in modo significativo - considera il presidente di Avviso Pubblico, Roberto Montà -. Da una parte emerge una responsabilità degli amministratori locali – la legge è figlia di un tempo in cui la gestione era molto spostata sulla politica –. Ma oggi il quadro normativo è cambiato: molta della gestione è passa attraverso pubblici ufficiali che hanno delle responsabilità importanti che molto spesso sono anch'essi elemento debole di questo percorso. È fuorviante pensare che la malamministrazione sia solo un fenomeno di sciatteria e incompetenza. Il dossier ci riporta, invece, a una dimensione di una criminalità che ha bisogno di costruire una relazione con le comunità locali e che non ha solo bisogno di avere un rapporto diretto con alcuni amministratori o funzionali pubblici". La legge 164 del 1991, osserva il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Sandro Dolce, "nasce all'indomani di fatti che hanno riguardato la famosa faida di Taurianova. Ma oggi siamo ad una mafia, e direi in particolare ad una ‘ndrangheta, che sicuramente è molto diversa da quella del 1991. Le indagini delle ventisei procure distrettuali, negli ultimi dieci anni hanno dimostrato come oggi le mafie tendono sempre di più ad abbandonare il metodo della violenza e dell'intimidazione e a privilegiare la strada della collusione, della corruzione. Soprattutto nel Centro Nord. E non è un caso. È ovvio che viaggiare sotto traccia, senza il clamore degli attentati, delle bombe e delle minacce aiuta moltissimo i clan. Per questa ragione è necessario tenere alta l’attenzione e lavorare per creare una zona sinergica, che coinvolga i cittadini e le associazioni".
Le copie del dossier di Avviso Pubblico, "Il male in Comune", presentato a Roma.
Le copie del dossier di Avviso Pubblico, "Il male in Comune", presentato a Roma.
Il Sud maglia nera e l'insidia per i piccoli centri
Se si allarga lo sguardo alla Penisola, risultano 11 le regioni interessate dai provvedimenti (altre due, Sardegna e Veneto, hanno registrato archiviazioni). Ma con una desolante precisazione: l'89% degli scioglimenti, ossia 360, è avvenuto in Calabria, Campania e Sicilia, con una quarta regione appena fuori dal triste podio, la Puglia, che porta la percentuale al 96 e la somma a 386 casi. I rimanenti, meno di una ventina, riguardano Lazio (5), Piemonte (3), Liguria (3), Basilicata (2) e Lombardia, Emilia-Romagna e Valle d'Aosta tutte con un episodio. Se si analizzano i dati per provincia, sono 34 quelle coinvolte, ma anche qui ne bastano cinque (Reggio Calabria, Napoli, Caserta, Palermo e Vibo Valentia) per assommare il 63% dei provvedimenti. Oltre a 288 Comuni, sono state sciolte 6 aziende sanitarie provinciali. In generale, se si comparano i dati con quelli della popolazione raccolti dall'Istat, emerge che dal 1991 solo il 9% aveva oltre 50mila residenti, mentre il 72% dei Comuni sciolti ne contava meno di 20mila, il 51% meno di 10mila e un terzo meno di 5mila. 
La sottosegretaria all'Interno, Ferro: stiamo lavorando a una riforma della normativa 
La normativa, in 34 anni, è stata oggetto di numerose  sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato e ha mostrato alcuni limiti e aspetti critici, come il nodo relativo all'incandidabilità di amministratori locali responsabili di condotte che hanno determinato lo scioglimento, in mancanza di una condanna penale, fino alla durata del procedimento di accertamento della Commissione d'accesso, che può protrarsi per mesi. "Tra i tanti dati del dossier - rileva la sottosegretaria all'Interno Wanda Ferro - colpisce il fatto che in 374 comuni tornati al voto dopo lo scioglimento, 31 sindaci rimossi siano stati nuovamente eletti e altri siano comunque rientrati in Consiglio comunale o in giunta. Segno che c'è a volte una distanza profonda fra l'intervento dello Stato e la percezione che ne hanno i cittadini. Per questo, stiamo lavorando a una riforma della normativa, con tre obiettivi: rendere più efficace l'azione dello Stato; introdurre forme di sostegno a casi critici, ma dove non ricorrono gli elementi per sciogliere il consiglio comunale e commissariare l'ente; fornire agli amministratori  una cornice normativa più chiara, che non alimenti confusione e timore. Bisogna costruire una cultura della prevenzione". Anche secondo il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Giuseppe Busia, è possibile migliorare il quadro normativo, ad esempio prevedendo "interazioni tra l'istituto dello scioglimento per mafia e le misure straordinarie di gestione", che garantiscano "sostegno e monitoraggio delle imprese affidatarie di contratti pubblici coinvolte in vicende di corruzione" o di altre condotte criminali.
L'esempio (e le difficoltà) di chi ce la fa
Nell'attesa che la normativa venga migliorata, ci sono amministrazioni locali che provano a farcela con le proprie forze, cercando di ricostruire la trama del tessuto amministrativo e sociale lacerata dalle infiltrazioni mafiose, in territori dove la presenza della malapianta resta difficile da debellare. A Manfredonia, in Puglia, c'è il sindaco Domenico La Marca, che dopo aver ereditato una situazione intossicata da un pesante condizionamento mafioso, ha subito deciso di dare un volto diverso alla cittadina, lavorando sui temi della legalità nelle scuole e con la cittadinanza. A Mattinata, in provincia di Foggia, l'occupazione delle cosche locali, dedite a una faida contro altri clan della provincia, aveva di fatto soffocato il territorio, ma dopo il commissariamento sta partendo una rinascita amministrativa. Nella vicina Monte Sant'Angelo, invece, l'amministrazione nata dopo lo scioglimento, col sindaco Pierpaolo d'Arienzo, viene ancora minacciata. Nel Lazio, i cittadini di Anzio e Nettuno nel 2024 sono tornati al voto. E a Caivano, in Campania, dove si è votato di nuovo nei giorni scorsi, il "modello" di ricostruzione messo a punto dal Governo inizia a produrre frutti. La speranza è di far rimettere radici alle buona amministrazione, come è successo a una ventina di chilometri di distanza, in una cittadina un tempo conosciuta solo per l'ombra malvagia dei Clan dei Casalesi: è il comune di Casal di Principe, dove allo scioglimento è seguito il lavoro ben fatto della giunta del sindaco Renato Natale (che fu primo cittadino anche fra il 1993 e 1994, quando la camorra uccise don Peppe Diana). Un esempio positivo di rinascita citato dal presidente Sergio Mattarella, che tempo fa fa in una visita ufficiale aveva portato a Natale "l’apprezzamento e l’incoraggiamento della Repubblica". L’Italia, aveva dichiarato il capo dello Stato, "guarda a voi con attenzione, con solidarietà, con simpatia, con fiducia". Un attestato di stima per Natale, bravo medico e sindaco onesto e coraggioso, pronto nel 2024 a passare la mano a chi avrebbe dovuto fare, per usare le sue stesse parole, "ciò che ancora non è stato fatto".

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