La società civile dice no alla stretta Ue: «È la fine del diritto d'asilo»
Le reazioni di Ong e associazioni dopo il giro di vite dei Ventisette sui migranti. Padre Rigamonti (Centro Astalli): si pensa più ai confini che alle persone che si muovono. Schiavone (Asgi): il problema è rappresentato dai Paesi sicuri contenuti nella lista

Ci sono una lista europea dei Paesi sicuri, nuove norme sui cosiddetti “Paesi terzi” e il tentativo di normalizzare il modello Albania, il “return hub”, ovvero i centri di rimpatrio in paesi terzi sicuri. La nuova stretta sui migranti che arriva da Bruxelles, approvata dai ministri dell’Interno dei Ventisette lunedì scorso, solleva non poche critiche e perplessità da parte di chi, ogni giorno, ha a che fare con chi fugge dalla guerra e dalle violenze. Ong con navi che salvano i migranti che attraversano il Mediterraneo su carrette del mare stracariche, ma anche giuristi che di fronte ai tribunali difendono i diritti degli ultimi e da ultimo ma non per ultimo chi accoglie e sostiene non senza poche difficoltà i percorsi di accoglienza ed integrazione degli stranieri.
«L’intesa dei Governi sui Paesi sicuri è tutt’altro che è una buona notizia soprattutto per le persone migranti – sottolinea padre Camillo Rigamonti del Centro Astalli per i Rifugiati – Non si tratta di fatto di uno strumento di regolamentazione quanto piuttosto di una nuova stretta sul diritto d’asilo». Invece che affrontare la questione migratoria nel suo complesso, aggiunge padre Camillo Rigamonti, «si continua a intervenire non pensando in prospettiva a una mobilità umana che rispetti le persone e che sia funzionale a garantire una vita più degna per tutti, ma piuttosto in difesa di confini che diventano lo spartiacque tra chi ha diritto ad avere diritti e chi non questo diritto non lo ha».
Per i giuristi che si occupano di diritti, con i nuovi regolamenti «ci troviamo di fronte al paradosso di una norma dell’Unione europea in contrasto con il suo atto fondativo». Lo dice Gianfranco Schiavone di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. «La novità è che il Consiglio ha espresso voto favorevole alla possibilità di avere una lista comune di paesi di origine sicuri - aggiunge Schiavone -. La lista europea non è di per sè un problema, ma il problema è quali sono i Paesi contenuti nella lista: cioè non corrispondono alla definizione giuridica di “Paese sicuro”, un Paese cioè che ha un ordinamento democratico e nel quale non ci sia in via generale e costante rischio concreto di persecuzione». Nell’elenco indicato ci sono sette Paesi: Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia. «L’Egitto è un paese a ordinamento non democratico - aggiunge Schiavone - ed è tra quelli con i più alti tassi di violenza politica». Anche per Emergency la stretta sui migranti riflette un atto che colpisce il cuore “fondativo” dell’Unione europea. «L’Europa non aspira più ad essere un riferimento di diritti e umanità, ma si chiude a fortezza. Le nuove norme – che passeranno ora al vaglio del Parlamento Europeo – erodono il diritto di ogni individuo a chiedere asilo sul territorio europeo e riducono gravemente gli standard di protezione per le persone migranti».
Per la Ong Mediterranea Saving Humans, «l’insieme delle norme decise rappresenta un gravissimo attacco, forse il più grave della nostra storia, al diritto di asilo, e mostra il paradosso dei “diritti umani” universali, che diventano vuoti se non c’è una struttura politica che li renda effettivi per l’individuo». «Il modello Albania si è già rivelato per quello che è: una vetrina politica che serve a mostrare durezza verso i più vulnerabili, non a risolvere alcun problema reale - sottolinea Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans-. Replicarlo significherebbe moltiplicare luoghi di segregazione in cui le persone vengono private della libertà, della trasparenza procedurale e delle garanzie fondamentali».
Anche la Ong Sea Watch punta il dito contro le decisioni del Consiglio Ue che «danno il via all’istituzione di uno stato di polizia europeo». «L’Europa perde se stessa - aggiunge la Ong - A ciò si aggiunge la deportazione di massa verso presunti Paesi terzi sicuri, come la Tunisia, dove le persone rischiano violenze, respingimenti e assenza di garanzie minime, dove uomini, donne e bambini vengono lasciati morire di fame nel deserto».
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