Cosa ci dicono le proteste "divise" degli studenti italiani
Le ragioni dello sciopero erano molte: finanziamenti all'istruzione pubblica, Palestina e clima. Secondo i giovani in piazza, è una questione di «intersezionalità»

Gli studenti di tutta Italia ieri mattina si sono fermati. I motivi dello sciopero - a sentire le loro voci e a leggere i manifesti delle sigle che hanno proclamato lo sciopero (Unione degli studenti e Fridays for future) - erano molti e distanti tra loro: «Investimenti nell’istruzione pubblica», «riforma della scuola-lavoro per la sicurezza degli studenti», «blocco del riarmo europeo», «riconoscimento italiano della Palestina» e «maggiore attenzione della politica alla crisi climatica». Il filo rosso che ha unito le cinquanta piazze animate da cortei in tutto il Paese, secondo lo slogan che ha infiammato anche le mobilitazioni online, è l’opposizione al Governo: #Nomeloniday è l’hashtag rimbalzato in rete. E non sono mancate, per questo, tensioni tra le forze dell’ordine e i gruppi più ostili all’Esecutivo: a Bologna la Polizia ha bloccato con cariche un corteo che tentava di cambiare percorso per contestare alcuni membri del Governo presenti in città, mentre a Torino altri manifestanti hanno ferito otto agenti scagliando un tombino contro il cordone che tentava di impedire il blocco dei binari nella stazione di Porta Nuova. Ad ascoltare i circa 20mila studenti in piazza, invece, le rivendicazioni erano tutte connesse e prioritarie per la cosiddetta Generazione Z (i nativi digitali, nati tra il 1997 e il 2012): «Crediamo nell’intersezionalità – commenta Micol, 17 anni, scesa in piazza a Milano –. Significa che in ogni manifestazione dobbiamo parlare di tutti questi argomenti per noi importanti: dalla Palestina ai crimini ecologici. Anche perché a scuola non lo facciamo». Al suo fianco Ginevra Torti, 20 anni, riassume tutto con un cartello scritto in inglese: «La Generazione Z lotta per il proprio futuro».

Eppure, nelle piazze, gli studenti non sono scesi tutti insieme. A Roma, si sono succeduti due cortei diversi: uno guidato dall’Opposizione studentesca d’alternativa (Osa) e uno da collettivi auto-organizzati dei licei. Lo stesso è successo a Torino, dove da una parte hanno sfilato i cortei studenteschi e, dall’altra, i manifestanti per il clima di Fridays for future. «Chiediamo al Governo italiano di affrontare davvero la crisi climatica o di farsi da parte – commenta Carlo Mezzalama, referente torinese di Fridays for future –. È necessario trasmettere l’urgenza per i cittadini del presente e per le future generazioni». A Torino il movimento “green”, nato su iniziativa dell’attivista svedese Greta Thunberg nel 2018, ha mobilitato assieme ai cortei studenteschi circa 1.500 manifestanti. Altrove, l’affluenza degli attivisti climatici è stata molto inferiore. «I risultati che raggiunge la politica sono pochi ma pure gli accordi già siglati, oggi, sono ignorati dai Governi. Anche per questo c’è sfiducia e siamo un po’ dispersi in piazza ma i giovani, come dicono le ricerche, restano molto preoccupati per il futuro climatico. Io, invece, sono proprio terrorizzato». A parlare è Gino Perri, 70 anni, padre di tre figlie, quasi l’unico a Milano a sventolare la bandiera di Fridays for future. Il suo pensiero ieri era rivolto a Belem, in Brasile, il Paese che ospita la trentesima Conferenza delle parti sul clima (Cop30). «Quelli che viviamo in Brasile sono giorni importanti – commenta ad Avvenire Simona Di Viesti, referente di Fridays for future inviata a Belem –. A fare le spese maggiori della crisi climatica sono i Paesi del Sud globale, che hanno contribuito meno a generarla. Per questo, vogliamo far sentire la nostra voce di dissenso qua in Brasile e in Italia». In molte città, però, le adesioni raccolte dal movimento erano scarse.

Per la maggior parte dei manifestanti, ieri le priorità sembravano altre. «La prima ragione della protesta è garantire fondi all’istruzione pubblica – commenta Elisa Frigeni, 23 anni, referente dell’Unione degli studenti universitari – perché da 15 anni scuole e università sono sottofinanziate. Il Governo spende miliardi negli armamenti, invece che nelle priorità dei giovani». Ma a Milano, dove manifestava Frigeni, la protesta non ha risparmiato neppure le opposizioni parlamentari, ritenute «complici del genocidio a Gaza» insieme all’Esecutivo: tra i volti rappresentati con impronte di mani sporche di sangue, sventolati dagli studenti, sfilavano sia quello di Giorgia Meloni sia quello di Elly Schlein.

A Roma, invece, la protesta si è concentrata in viale Trastevere, dove si trova la sede del ministero dell’Istruzione e del Merito e dove alcuni manifestanti hanno lanciato uova, vernice rossa e bruciato l’immagine del titolare del Dicastero, Giuseppe Valditara. Anche in questo caso, gli autori appartenevano a una frangia separata dal corteo convocato dai principali collettivi studenteschi. «Gli argomenti per cui protestiamo sono tutti collegati alla scuola – commenta Nicole, 17 anni, in piazza a Milano – perché nelle nostre aule non riusciamo mai a esprimerci su questi temi».
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