«Come sta papà?». Cosa ha detto Alberto Trentini a sua madre al telefono
Il giovane, recluso da 8 mesi in Venezuela, ha chiamato i genitori: «Ha smesso di fumare e ci ha ricordato la revisione dell’auto». Vignali nominato inviato per i detenuti italiani

È mattino a Caracas e pomeriggio a Lido Venezia, quando d’improvviso il cellulare, poggiato sul tavolo in modo “silenzioso”, s’illumina. “Venezuela”, si legge sullo schermo. Armanda Colusso e suo marito si guardano a vicenda, cercano di capire meglio di cosa si tratti. «E poi la voce di Alberto chiara, forte e decisa. Ci avverte di prendere carta e penna, in realtà aveva cose semplici da comunicare, e che sono pochi i minuti che ha a disposizione», spiega ad Avvenire Armanda, madre di Alberto Trentini, mentre racconta la più recente telefonata di suo figlio, da otto mesi in cella in Venezuela, a El Rodeo I. È la seconda, dopo quella dello scorso 16 maggio. «Vuole sapere come sta il papà, che sapeva in difficoltà, ma mio marito trova la forza di alzarsi dalla poltrona per salutarlo», prosegue Armanda, che invece aveva «fretta di dirgli che ha un avvocato, Alessandra Ballerini, che ci segue e ci supporta dal momento della sua carcerazione e che è instancabile».
Il papà, la mamma, l’avvocata: la ricognizione conta e apre una crepa tra la cella e il mondo là fuori, che ad Alberto manca già da un po’. Alle domande di Armanda sulla sua salute Alberto risponde che «si nutre seguendo un regime dietetico, che fa movimento e che da un mese ha smesso di fumare». «Gli ho detto che tutti noi continuiamo a mobilitarci per la sua liberazione», aggiunge la mamma, che ha già procurato lenti a contatto «per quando tornerà». Del resto Alberto preferisce scendere sul concreto, a riprova della sua lucidità. Dice ai genitori di «non toccare la macchina» perché ricorda che «è tempo di revisione». «I minuti scorrono veloci, stanno scadendo. Alberto ci dice che ci vuol tanto bene e che spera di tornare a casa presto», racconta la mamma. Ma poi «la linea improvvisamente si interrompe. Io e mio marito ci guardiamo, ci abbracciamo e pazienza se ci viene da piangere».
La telefonata - accolta positivamente dal ministro degli Esteri Antonio Tajani e dal viceministro Edmondo Cirielli - converge con la nomina di Luigi Maria Vignali, il direttore degli Italiani all’estero, come inviato speciale a Caracas. «Dovrà dialogare per vedere come potere ottenere la liberazione di prigionieri politici che non hanno commesso a nostro parere reati», ha detto Tajani, motivando la decisione presa di concerto con la premier Giorgia Meloni. Il ministro ha fatto riferimento a «una quindicina» di italiani.
In Venezuela, oltre al caso di Trentini, resta sotto la lente quello di Biagio Pilieri, giornalista ed ex-parlamentare italo-venezuelano, detenuto nell’Helicoide di Caracas «senza la possibilità di avere contatti con l’esterno, di contare su una difesa né su un giusto processo» aggiunge suo figlio Vicente. Il caso Pilieri è seguito con particolare dalla comunità di Sant’Egidio.
Le loro detenzioni si inseriscono nelle retate eseguite dagli agenti di Caracas dopo le contestate presidenziali tenutesi esattamente un anno fa, il 28 luglio 2024, quando l’ex-candidato Edmundo González Urrutia ha contestato i risultati con i quali il Consiglio nazionale elettorale proclamava la rielezione di Nicolas Maduro. Da allora sono state detenute oltre 2mila persone, di cui almeno 160 stranieri, per le quali sono state riaperte strutture carcerarie dismesse, come appunto El Rodeo I - direttamente gestito dal Controspionaggio militare - e Tocoron, rispettivamente situate negli stati Miranda e Aragua.
Tuttavia il braccio di ferro tra governo e opposizione si è chiuso poche ore fa con l’ultima sfida vinta da Maduro, che ha portato a casa 280 sindaci su 335 e la stragrande maggioranza dei Consiglieri comunali. Ha vinto persino l’ex-console italiano a Milano, Gian Carlo Di Martino, espugnando il fortino di Maracaibo, località strategica al confine con la Colombia e capitale di uno stato, lo Zulia, ricco in petrolio.
Del resto González resta fuorigioco, a Madrid, da dove si fa chiamare «presidente» senza però mettere in piede in Venezuela, perché ricercato da Caracas. Nel frattempo sul fronte esterno, a prima vista, piovono sanzioni Usa contro Miraflores e il segretario di Stato Marco Rubio insulta Maduro dicendo che «egli non è presidente del Venezuela» bensì «capo di un’organizzazione criminale». Ma dietro alla messinscena c’è ben altro: Chevron riprende le operazioni nel Paese dopo il rilascio degli ultimi dieci prigionieri Usa trattenuti in Venezuela. Serve a questo la diplomazia degli ostaggi.
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