Chi è quello strano tipo di Rutte e le lodi sperticate a Donald
Aspirante pianista, manager con la passione per la politica, ammiratore di Winston Churchill e Margaret Thatcher, la vita e le idee dell'eccentrico, rigoroso, frugale segretario della Nato

«Daddy Donald, ci hai condotto verso un momento davvero importante per il mondo. L'Europa pagherà alla grande, come è giusto che sia, e sarà la tua vittoria». L’epinicio del segretario generale della Nato Mark Rutte rivolto a Donald Trump non ha nulla da invidiare a quelli di Pindaro e Bacchilide, cantori dell’aristocrazia greca nel V secolo avanti Cristo e campioni insuperati nella lode al vincitore. E ha provocato non pochi malumori ieri a L’Aia, ma «nessun imbarazzo» allo stesso Rutte.
Strano personaggio, Mark Rutte. Da giovane sognava di fare il pianista, ma dopo gli studi storici all’università di Leida finisce per diventare manager alla Unilever, non senza un pronunciato interesse per la politica, fino a diventare nel 2006 leader del Vvd, movimento di stampo liberal-conservatore che guiderà fino al 2023 con il record di undici anni di premierato.
Cinquantottenne, celibe e tifoso del Feyenoord, è un fervido ammiratore di Winston Churchill e Margaret Thatcher. Membro del Pkn (la Chiesa protestante nei Paesi Bassi), Rutte ha sposato negli anni il rigore germanico promosso da Merkel e Schäuble, quello dei “compiti a casa”, bacchettando ripetutamente gli Stati-cicala, i famigerati “Pigs” (irriguardoso acronimo per Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, dove “i” starebbe anche per “Italia”), gli scialacquatori con il vizio eterno del vittimismo e i loro conti in disordine, non senza una sussiegosa diffidenza anche nei confronti dello storico asse carolingio Francia-Germania, ossatura storica dell’Europa nascente.
Ma, mentre applaudiva alla Troika che faceva strame dello Stato sociale in Grecia, l’ancor giovane Rutte, ormai leader acclamato dei “frugali”, mentre da un lato esecrava severo con l’acribia di un inquisitore chi pretendeva di ricevere aiuti e sussidi in cambio di vaghe rassicurazioni, dall’altro incoraggiava quell’”ottimizzazione fiscale” che per anni ha attratto capitali e imprese nei Paesi Bassi – da General Electric a Fca, da Time Warner a Nike, per citarne solo alcune -, trasformati in un paradiso fiscale a tutti gli effetti.
Conclusa in gloria la carriera politico-ministeriale, su robusta pressione di Usa, Francia, Gran Bretagna e Germania Rutte viene issato sul podio della Nato, di cui diventa segretario generale nel 2024. Il compito gli piace, e lo proietta naturaliter nell’ala intransigente dell’Alleanza: quella che dà piena ragione allo “Zio Sam” e si vergogna per lui della scarsa contribuzione dei piccoli Stati europei, abituati – ma questo è uno slogan MAGA - «a farsi mantenere dall’America senza dare quasi nulla in cambio». Più realista del re, il gran visir della Nato lumeggia lampi di furore verso quei Paesi – come la Spagna, in questo vertice trafitta dalle occhiatacce del segretario - poco disposti a svenarsi per ricostituire la Santa Alleanza in funzione antirussa e cita Dwight Eisenhower, che già nei lontani anni Cinquanta borbottava perché gli europei non spendevano nella difesa quanto gli americani.
Per fortuna c’è Rutte, “mister 5 per cento”, che ci ricorda i nostri doveri di alleati europei. E a proposito delle contumelie che Trump ha usato nei confronti di Iran e Israele («Due bambini che si picchiano nel parco e che bisogna lasciar combattere per due o tre minuti per poter riuscire a separarli»), ha commentato sorridendo: «A volte “paparino” deve usare parole forti».
Con un addetto alle pubbliche relazioni di tale efficacia, Donald Trump non potrebbe chiedere di meglio.
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