Alemanno: «In carcere si muore due volte. Nessuna risposta dal ministro»

L'ex sindaco di Roma ha scritto una lettera aperta ai presidenti delle Camere, per denunciare quel che accade negli istituti di pena: «Con il caldo situazione ancora più drammatica»
July 1, 2025
Alemanno: «In carcere si muore due volte. Nessuna risposta dal ministro»
Ansa | Gianni Alemanno, già sindaco di Roma e ministro, detenuto da diverse settimane a Rebibbia
«Mentre le temperature superano i 45 gradi, i ventilatori sono un lusso per pochi, le celle sono camere a gas, le docce funzionano a intermittenza e l'acqua potabile scarseggia, ogni estate si ripete lo stesso copione: suicidi, proteste, appelli, e poi il silenzio». Comincia così la lettera aperta indirizzata a Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, presidenti di Senato e Camera, firmata da due «persone con esperienze molto diverse - una contraddistinta da un pluridecennale impegno politico e istituzionale, l'altra da una lunghissima esperienza carceraria vissuta studiando Giurisprudenza e lavorando come "scrivano" al servizio delle altre persone detenute - ma accomunate dallo stesso impegno per rendere pubbliche le drammatiche condizioni in cui si vive negli istituti penitenziari italiani». Cioè Gianni Alemanno, già ministro ed ex sindaco di Roma, e Fabio Falbo, detenuto da 20 anni durante i quali si è laureato in giurisprudenza, che hanno scritto una lettera di denuncia sulle condizioni delle carceri italiane, in particolare durante l'estate: «Drammatiche condizioni che stanno esplodendo – si legge -, nel cuore dell'estate italiana, mentre milioni di cittadini cercano refrigerio tra ventilatori e condizionatori, c'è un'Italia che brucia in silenzio, è quella delle carceri, dove oltre 62.000 persone vivono stipate in celle pensate per meno di 47.000, dove il caldo non è solo un disagio, ma una pena aggiuntiva, dove la dignità umana si scioglie, giorno dopo giorno, tra muri scrostati, letti a castello e finestre sigillate da pannelli di plexiglass».
Fanno qualche esempio, Alemanno e Falbo: «Nel carcere milanese di San Vittore il tasso di sovraffollamento ha superato il 220%, a Regina Coeli nel cuore di Roma è al 192%, mentre quello medio di tutti gli istituti di pena italiani è del 133% (calcolando non le capienze teoriche, ma i reparti realmente utilizzabili». Nel 2024, ben 71 persone detenute si sono tolte la vita - sottolineano nella lettera -, «nei primi sei mesi del 2025 siamo già a 38, un suicidio ogni cinque giorni, numeri che gridano vendetta, ma che non fanno rumore, perché chi muore in carcere, spesso, muore due volte, nella cella e nell'indifferenza collettiva». Tant’è – vanno avanti - che «la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha già condannato l'Italia per trattamenti inumani e degradanti, e se le cose non cambieranno rapidamente, il nostro Paese, "patria del diritto", rischia di subire di nuovo la stessa umiliante condanna».
Prima che ai presidenti di Senato e Camera, «ci siamo rivolti al Ministro della Giustizia: sono passati due mesi e non abbiamo ottenuto alcun riscontro - ricordano -, se non la notizia che il ministero ha predisposto un piano di 32 milioni di euro per l'ampliamento di nove istituti penitenziari» con l'installazione di moduli detentivi prefabbricati. «Ebbene, questo intervento dovrebbe mettere a disposizione 384 nuovi posti in cella, con un costo medio per detenuto di 83.000 euro: una goccia nel mare, a fronte di un sovraffollamento di più di 14.000 persone detenute».
Quindi? L'unica possibilità di dare una risposta immediata, concreta e adeguata a questa emergenza, sia quella di approvare un provvedimento di legge con il concorso trasversale di forze politiche provenienti da ogni schieramento. Non un indulto o un'amnistia per i quali, non solo sarebbe necessaria una maggioranza qualificata, ma bisognerebbe sfidare un'opinione pubblica giustamente preoccupata dai problemi della sicurezza e della certezza della pena. «Invece - mettono nero su bianco Alemanno e Falbo – pensiamo a quella che è stata definita la "Legge della buona condotta", sarebbe a dire un provvedimento che preveda una "liberazione anticipata speciale" tale da aumentare lo sconto di pena già previsto quando le persone detenute mantengono un comportamento giudicato irreprensibile dagli Uffici di sorveglianza». Perché «adesso è necessario dare una svolta a questi contatti politici, mettendo nell'agenda parlamentare l'urgenza di intervenire sulla situazione degli istituti di pena. Non chiediamo impunità, chiediamo umanità, non chiediamo clemenza, chiediamo giustizia, anche perché nessuna pena può diventare tortura, perché nessuna cella può diventare una tomba, perché nessuna persona mai dovrebbe essere trattata come meno di un essere umano».
Infine, nella lettera si racconta il caso di Antonio Russo che, a 87 anni, sta scontando in carcere una condanna: «Caso esemplare di una realtà che grida giustizia e che interroga profondamente la nostra coscienza civile e costituzionale, quella delle persone detenute ultrasettantenni, i cosiddetti "nonnetti" rinchiusi nelle carceri italiane, come nel nostro reparto G8 Rebibbia, dove ci sono cinque detenuti oltre o prossimi agli ottant'anni».

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