martedì 14 settembre 2021
Dietro l'arresto di Hassan Qidi, carceriere somalo del lager, secondo le autorità libiche la misteriosa organizzazione criminale che da anni uccide i migranti ed espianta organi per venderli
Libia, l'ombra del traffico di organi a Bani Walid

Ansa

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Non era solo un carceriere spietato che torturava i migranti nell’inferno di Bani Walid, in Libia, per indurre le famiglie a pagare i riscatti e salvare loro la vita. Ma un referente della potente mafia del traffico d'organi che sfrutterebbe i corpi dei prigionieri più poveri per il mercato criminale più oscuro. Il somalo Hassan Qidi, arrestato lo scorso 17 giugno in un blitz delle Brigata combattente 444 – fedele al governo di unità nazionale – era il famigerato protagonista dei racconti dell’orrore dei subsahariani del Corno d’Africa sopravvissuti ai lager nascosti della città libica nel cuore del deserto, un torturatore, un assassino e uno stupratore di somali, etiopi ed eritrei. Ma dopo aver ascoltato le testimonianze delle vittime, l'uomo è stato accusato dalle autorità libiche anche di essere un boss del traffico e un trafficante di organi, oltre ad essere l’assassino di decine di persone.

La notizia è stata divulgata lunedì 13 settembre da media somali e libici. Pur con molta cautela, va detto che è la prima volta che si parla esplicitamente di traffici di organi dei migranti in Libia, anche se diversi segnali allarmanti sono giunti in questi anni. Sette anni fa ad Avvenire arrivò ad esempio la lettera del medico di un pronto soccorso milanese che aveva visitato un profugo sudanese privo di un rene. Gli disse di averlo venduto al capo di un centro di detenzione libico per potersi pagare il proseguo del viaggio della speranza verso la Germania.

Quello che emerge da Bani Walid ricorda i traffici di organi di un altro deserto, quello egiziano del Sinai, dove i medici della morte al servizio di una organizzazione criminale con adepti e complicità che si addentrano nel mondo della sanità e nei governi di diversi Stati arrivavano dal Cairo in ambulanza per uccidere e prelevare gli organi dei migranti prigionieri dei predoni beduini che non potevano pagare riscatti di migliaia di dollari. Organi espiantati e riportati nelle capitale egiziana per venire rivenduti sul mercato clandestino interno, su quello israeliano e in paesi limitrofi come il Sudan, altro hub africano del lucroso traffico.

Ora i fari si spostano su Bani Walid, detta la città dei fantasmi dai subsahariani per l’alto numero di sequestrati uccisi in silenzio dopo stupri, sofferenze e torture. La città, centro della tribù fedelissima di Gheddafi dei Warfalla, per anni ha ospitato in capannoni periferici le prigioni “non ufficiali”, dove i boss subsahariani ed egiziani del traffico tenevano rinchiusi i prigionieri dividendoli per etnie. La divisione finale la facevano poi Hassan e gli altri supertrafficanti eritrei come Abusalam, appena tornato in Libia dopo una fuga precipitosa a fine 2018, Welid e Kidane (arrestati in Etiopia l’anno scorso: il primo è stato condannato a 18 anni e il secondo è fuggito dal tribunale a piedi), anche loro attivi fino al 2013 come trafficanti nel Sinai. O Wedi Isaak, ex braccio destro di Abusalam, che amava farsi ritrarre sui social in pose da rambo. Il loro criterio di selezione finale era semplice: chi resisteva agli stenti e ai supplizi e pagava i riscatti a viveva e proseguiva il viaggio fino al mare. Gli altri venivano uccisi. Adessso assumono un profilo molto più inquietante le minacce di espianto di organi fatte ai prigionieri soprattutto dal somalo-

In questi anni molte delle immagini più dure dei supplizi ai prigionieri dei centri di detenzione inviate ai parenti, che le giravano sui social per fare collette, provenivano da Bani Walid. Una zona franca dove nessuno è intervenuto fino alla scorsa primavera, quando la pandemia e il blocco delle partenze hanno scatenato una guerra tra i boss subsahariani della quale hanno approfittato i libici.

Sabato, ha dichiarato la Brigata 444 in un comunicato, il Procuratore pubblico ha stilato pesanti accuse contro il somalo. Hassan che sarebbe membro di una organizzazione criminale internazionale che agirebbe con altri partner fuori e dentro i confini libici. Forse nel vicino Egitto, con i suoi professionisti dell’espianto di organi e la mafia dei trafficanti. Il “direttore” di Bani Walid, stando ai profughi, era Osama, un egiziano.

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