Vita

L'analisi dei dati. Le verità (scomode) sulla 194 tra obiettori, pillole e "punti Ivg"

Assuntina Morresi venerdì 26 giugno 2020

E’ impressionante il contrasto fra il silenzio indifferente con cui è stata accolta la relazione al parlamento sull’applicazione della legge 194 che regolamenta l’aborto in Italia, e il rumore di certe manifestazioni vintage sull’aborto, stile anni ’70, che si sono materializzate recentemente, a Perugia per esempio, con cartelli “a tema” del tipo «L’unica chiesa che illumina è una chiesa che brucia».Eppure dovrebbero leggerla tutti, quella relazione, per scoprire dati bellamente ignorati da chi per esempio si straccia le vesti perché una amministrazione regionale – l’Umbria, in questo caso – ribadisce la volontà di seguire correttamente la legge e le indicazioni del Ministero della Salute.

Entrando nel merito, spiccano i dati sull’obiezione di coscienza: «Il 15% dei ginecologi non obiettori nel 2018 è assegnato ad altri servizi e non a quello Ivg, cioè non effettua Ivg pur non avvalendosi del diritto all’obiezione di coscienza. Si tratta di una quota rilevata in 175 strutture di undici regioni: Piemonte, P.A. Bolzano, Liguria, Toscana, Marche, Lazio, Molise, Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna». In altre parole: mentre nelle piazze e in tanti giornaloni c’è ancora chi ripete ossessivamente la filastrocca contro gli obiettori di coscienza, in ben 175 strutture ospedaliere italiane ci sono decine di ginecologi – 230 – che hanno dato la loro disponibilità a effettuare aborti ma ai quali le rispettive amministrazioni hanno risposto “no, grazie, è meglio che facciate altro”. Questo accade anche nel Lazio, dove invece il governatore Zingaretti ha voluto e rivendicato bandi di concorso e assunzioni solo per medici non obiettori, protestando l’assoluta necessità di personale per effettuare aborti: tanta era l’urgenza che adesso neppure li utilizza. Tutto pretestuoso, dunque: ma c’è qualcuno a cui interessa?

Quello dei non obiettori che non sono impegnati per aborti è un dato in aumento rispetto agli anni scorsi: nel 2017 erano il 9,8%, pari a 146 ginecologi, mentre nel 2015 erano l’8%, pari a 98. Guardando i dati, insomma, emerge che ogni anno ci sono sempre più medici non obiettori rispetto a quelli necessari per fare aborti.

D’altra parte gli aborti sono diminuiti dai 234.801 nel 1983, anno record, ai 76.328 di quest’anno, cioè meno di un terzo, mentre i non obiettori sono restati praticamente costanti: da 1.607 a 1.538. E’ evidente che il carico di lavoro personale per ogni non obiettore è calato di conseguenza: attualmente, se tutti i non obiettori fossero impiegati nei servizi Ivg ognuno effettuerebbe 1,2 aborti a settimana, considerando 44 settimane lavorative. Un dato che si ripete nelle singole regioni, come si può vedere dalle tabelle nella relazione al Parlamento, da cui risulta che si contano sulle dita di una mano le situazioni in cui ci si discosta da questi valori: si tratta di due strutture in particolare, una in Puglia dove gli interventi a settimana sono 14,6 (e dove risultano al tempo stesso non obiettori inutilizzati per Ivg), e una in Calabria, dove sono 9,5.

Sono informazioni accessibili a chiunque: eppure continua la leggenda secondo la quale gli obiettori di coscienza sono un problema per l’accesso all’aborto. E’ evidente, leggendo i dati, la motivazione ideologica di questi attacchi, che mirano a colpire gli obiettori nelle loro legittime scelte, stabilite per legge e fondate sulla Costituzione. E’ anche evidente che se si dimostrasse l’insufficienza del servizio pubblico si aprirebbe la strada alle organizzazioni profit che da anni cercano di entrare in Italia con le loro catene di cliniche private. Niente di nuovo: ideologia e interessi economici spesso vanno di pari passo.

La relazione al Parlamento firmata dal ministro della Salute Roberto Speranza, inoltre, conferma quanto già dichiarato dai ministri che lo hanno preceduto: il servizio Ivg appare sovradimensionato rispetto a quello dei punti nascita, considerando i numeri di aborti e di nascite. Per ogni punto Ivg ci sono 1,1 punti nascita: il numero di strutture in cui si possono effettuare aborti è quindi quasi pari a quello in cui nascono i bambini. Ma il rapporto fra nascite e aborti non è lo stesso: nel 2018 le nascite sono state 439.747 e gli aborti 76.328. In altre parole, per ogni aborto sono nati 5,8 bambini, ma l’offerta del servizio è quasi pari. Addirittura in diverse regioni i punti aborto superano i punti nascita: in Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Sardegna. E soprattutto in Umbria.

Un’ultima osservazione riguarda la cosiddetta contraccezione di emergenza: le pillole conosciute come “dei cinque giorni dopo” (EllaOne) e “del giorno dopo” (Norlevo), per le quali Speranza ha ribadito che «è indispensabile una corretta informazione alle donne per evitare un uso inappropriato». Pur con diversi meccanismi di azione, sono prodotti che le donne possono assumere nel dubbio di aver avuto un rapporto fecondo, che possono agire come antinidatorio o contraccettivo a seconda della presenza o meno di un embrione formato, e non è possibile sapere cosa effettivamente accada.

I dati mostrano che il loro uso è fortemente aumentato da quando, nel 2015, è stata eliminata la ricetta per le maggiorenni, che quindi possono assumerlo acquistandolo direttamente in farmacia senza aver consultato prima un medico, e non c’è modo di verificare che almeno siano assunte in emergenza, cioè eccezionalmente. Nel 2018 sono state vendute 260.139 confezioni di EllaOne (erano 17.000 circa nel 2014, allora con ricetta medica) e 338.028 di Norlevo, per un totale di quasi 600.000. Nello stesso anno sono nati 439.747 bambini. Il confronto fra i numeri è autoesplicativo.