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Non di solo «Open» Al libro piace lo sport

Mauro Berruto mercoledì 24 maggio 2023
Il messaggio che arriva dall’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, trionfalmente terminata lunedì, lancia (fra i tanti) un messaggio chiaro: intellettuali duri e puri, esegeti della letteratura alta, dualisti cartesiani, ultras della superiorità della mente sul corpo, arrendetevi: le librerie sono, sempre più, invase da libri di sport. Biografie, saggi, letteratura non-fiction di argomento sportivo si moltiplicano sugli scaffali. Impietoso il rapporto rispetto alle storie sportive di fiction, ovvero quel gesto creativo dell’inventare romanzi sull’argomento: non c’è paragone, né nella quantità di produzione, né nelle vendite. Una storia vera di sport, ben scritta e ben raccontata, stravince la competizione con la storia di sport inventata. Aveva ragione il filosofo romeno Emil Cioran quando asseriva che gli pareva strano leggere racconti inventati, quando c’erano a disposizione tante storie realmente accadute con cui fare i conti. Non brillava certo per ottimismo, Cioran, ma aveva identificato che la letteratura non-fiction sembra possedere, rispetto alla fiction, una qualità in più: intensità, quella che Edgar Allan Poe definiva la “maestà del vero”. Poi sono arrivati Truman Capote, più recentemente Emmanuel Carrère, ma soprattutto, per lo sport, Norman Mailer che nel 1975 scrisse The fight, il racconto della sfida sportiva del millennio: il combattimento fra Muhammad Ali e George Foreman a Kinshasa, Zaire. Nulla fu più come prima, nonostante mancassero trentaquattro anni all’uscita di Open, l’autobiografia di Andre Agassi pubblicata in Italia nel 2011 da Einaudi, alla cui stesura contribuì in modo sostanziale John Joseph “J.R.” Moehringer, giornalista e scrittore newyorkese vincitore del Premio Pulitzer. Open sorprese tutti, compreso l’editore Einaudi che stampò, per la prima edizione, un numero che potremmo definire molto prudenziale di copie. Invece bastò poco tempo per far considerare quel libro il big bang della narrazione sportiva in Italia. In effetti un libro così tagliente, scritto così bene e pubblicato da una casa editrice italiana così prestigiosa cambiò un paradigma. Anche quest’anno, all’interno dell’affollatissimo Salone del Libro torinese, tante sono state le presentazioni nella “Sala Olimpica”, il cui programma è da tempo felicemente affidato a Federico Vergari e che è destinata proprio a quella letteratura sportiva che, nessuno, tanto meno gli editori, considera più un fatto minore. Almeno un libro su quattro delle nuove uscite di qualsiasi casa editrice ha, in qualche modo, a che fare con lo sport. La dimensione “popolare” (nel senso più alto, ovvero di capacità di contatto con i lettori) espressa dai libri che narrano di sport ha una forza di comunicazione che la letteratura classica fatica a pareggiare. Considerare lo sport come epica moderna è banale, forse retorico, ma non si allontana dalla verità. La non-fiction sportiva è capace di cristallizzare un attimo, un istante, fissarlo nello spazio e nel tempo e farlo diventare strumento potente di emozione e, in qualche modo, di formazione, crescita personale, ispirazione. I giorni del Salone di Torino lo hanno, per l’ennesima volta, ribadito. © riproduzione riservata