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Il latte italiano al mercato unico: 30 anni migliorabili

Andrea Zaghi domenica 22 gennaio 2023
Vantaggi indubbi accompagnati, soprattutto oggi, da grandi problemi che non si possono più nascondere. È il bilancio dei trent’anni di mercato unico europeo, iniziati nel 1993 con l’operativitá del Trattato di Maastricht, che gli industriali del latte hanno compiuto in questi giorni. Bilancio tutto sommato positivo. Anche se, appunto, più di un problema alla fine è venuto a galla. Assolatte – che raccoglie oltre 200 aziende che generano il 90% del fatturato complessivo del settore –, obiettivamente spiega: «L’abbattimento delle frontiere interne per noi è stato positivo, in particolare per il grande impulso che ha dato al commercio estero. Lo snellimento burocratico ha liberato il nostro potenziale e i nostri formaggi hanno conquistato i mercati europei e reso l’export la grande leva di sviluppo che è oggi». Detto in numeri, basta sapere che nel 1993 le imprese italiane esportavano circa 69mila tonnellate di formaggi, oggi arrivano a 360mila; il fatturato è passato da 312 milioni a 2,3 miliardi. Se si guarda poi solo agli ultimi dieci anni, le vendite oltre i confini europei sono cresciute del 70% fino a circa 1,3 miliardi di euro. Effetto, quest’ultimo, della serie di accordi di libero scambio che l’Europa ha sottoscritto sull’onda dell’apertura delle frontiere interne. Tutto bene quindi, o quasi. In effetti, stando sempre all’analisi di Assolatte, molti sono i problemi che nel frattempo sono emersi. Il tema di fondo è uno solo: è necessario dare reale e completa attuazione ai principi del libero scambio. Perché, a ben vedere, il mercato unico europeo non è un mercato libero, i cui tutti possono competere “ad armi pari”. Dice ancora Assolatte: «La libera circolazione ha valore solo se è in grado di apportare vantaggi netti a tutti». Così non è, spiegano gli industriali, per gli «effetti distorsivi delle norme dei singoli Paesi che rendono alcuni prodotti più competitivi di quelli di altri concorrenti europei». Grande imputato è, a questo proposito, l’etichettatura cosiddetta “nutriscore” permessa ad alcuni Paesi e che, obiettivamente, fornisce informazioni distorte sul reale contenuto nutrizionale dei prodotti alimentari. Regole, quindi, che davvero devono essere uguali per tutti. Ma anche tradizioni e abitudini alimentari che devono rispettarsi a vicenda, spazi di mercato che occorre siano paritetici, norme riconosciute e applicate con correttezza. È, a ben vedere, tutto questo che ancora manca all’Unione Europea. E non solo per il mercato lattiero-caseario. © riproduzione riservata