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Gladys e le bambine che non vanno a scuola

Antonella Mariani giovedì 6 ottobre 2022

La fabbrica è poco più di uno stanzone: pezze di stoffe da una parte, i prodotti finiti dall’altra.

Colpiscono la pulizia e l’ordine, la meticolosità con cui le operaie confezionano ogni singolo pezzo: sagomano sulla stoffa la forma di un assorbente femminile, la imbottiscono, la ritagliano e la cuciono. Dal Chiedza Community Welfare Trust, nel distretto di Mutasa, nell’est dello Zimbabwe, escono 50mila pezzi al mese. A sovrintendere le fasi della lavorazione c’è una donna dal fisico imponente, con gli occhiali scuri e una casco di capelli ricci. È Gladys Mukaratirwa, 60 anni: controlla uno a uno gli assorbenti, li ripiega e poi li sposta nel cesto per il confezionamento. Ex insegnante, Gladys ha uno scopo nella vita: dare un’opportunità alle donne e alle ragazze del suo villaggio, in una zona montagnosa e rurale del Paese, quasi al confine con il Mozambico. La fabbrica di assorbenti riutilizzabili è solo l’ultima della sue iniziative e c’è un motivo per cui questi dispositivi sanitari hanno un ruolo nell’emancipazione femminile: perché permettono alle studentesse più povere (e sono la maggioranza) di non perdere giorni di scuola o addirittura abbandonarla a causa del ciclo. « Negli anni Duemila molte bambine sono rimaste orfane a causa dell’epidemia di Aids. Molti dei mariti che lavoravano in città morivano, poi si sono ammalate le mogli. Con il Centro femminile che avevo fondato dieci anni prima, abbiamo preso l’impegno di nutrire, ospitare ed educare gli orfani.

Abbiamo pagato la retta scolastica di 100 ragazze – racconta Gladys –. Ma avevo notato che i loro risultati scolastici non erano buoni.

Qualcuna perdeva molte lezioni, altre abbandonavano. Non avevano soldi per comprare assorbenti e se andavano a scuola con i tamponi rudimentali che usavano le loro madri, stoffe imbottite di letame essiccato o di foglie secche, si sporcavano e venivano prese in giro dai maschi. Così stavano a casa. Dai 2 ai 5 giorni al mese, per un totale di 45 giorni di lezioni perse all’anno». Poi le donne del Centro femminile si resero conto che i bisogni erano più ampi del recinto dell’orfanotrofio e nel 2013 fondarono una società, la Chiedza Community Welfare Trust, di cui Gladys è la direttrice. Forte dei suoi studi in economia domestica e scienze, Gladys cercò il tessuto più adatto e iniziò a produrre assorbenti riciclabili in confezioni d 5 (due per la notte, tre per il giorno), utilizzabili per 18 mesi. «Si lavano e si asciugano al sole – spiega lei – Il sole è il più potente antibatterico. Abbiamo visto che le assenze delle alunne sono diminuite», conclude Gladys. Oggi il Chiedza Community Welfare Trust è uno dei pochi produttori di assorbenti che rispettano le normative nazionali e che quindi hanno la licenza statale. Lo standard qualitativo e la fascia di prezzo rendono i loro prodotti competitivi, tanto che le ong ne comprano a migliaia per distribuirli nelle scuole di tutto il Paese. Da decenni Gladys cerca ogni mezzo per aiutare le donne del suo distretto.

Nell’edificio che oggi, ingrandito, ospita la fabbrica di assorbenti, negli anni Novanta c’era un laboratorio in cui decine di donne hanno prodotto pagnotte da vendere al mercato, poi tessuti batik da proporre ai turisti in visita alle cascate Victoria. Le cose non sono sempre andate bene. « Dicevo alle donne di non perdere la speranza e che presto o tardi avremmo avuto una grande fabbrica». Poi c’è stata l’epidemia di Aids, e l’edificio ha ospitato un orfanotrofio. Ma pian piano, con l’impegno e il sacrificio di tutte e la visione di Gladys, la “grande fabbrica” è stata costruita.