Le ragazze di Adriana dai binari alla vita
Veterana dell'Associazione Cattolica al Servizio della Giovane, ha visto nascere 370 bambini nella casa di accoglienza di Firenze

«Io non ti ringrazio per la casa e il lavoro. Io ti ringrazio per avermi capita e per aver avuto fiducia in me come donna e mamma. Tu hai saputo guardare dove nessuno mai ha guardato... hai visto il mio cuore». Adriana Barbecchi sfoglia un quaderno dei ricordi che raccoglie lettere, fotografie, dediche, pensierini di bambini. Quella che ci tiene a fare leggere ad Avvenire è di Stefania, la mamma «di una dei bimbi che lei ha salvato». Nel salotto della sua casa di Sesto Fiorentino abbondano, i ricordi. «Volevo 12 figli e non ne ho avuto nemmeno uno», esordisce sorridendo questa giovane signora di 91 anni, le cui gambe si muovono con difficoltà e i cui pensieri invece sono velocissimi. E si capisce che questo è un punto cruciale della sua vita. «Ma poi ho capito: avere figli era un mio progetto, non un Suo progetto. E così ho aspettato per vedere dove Lui mi portava».
In realtà Adriana di figli ne ha avuto 370, tanti sono i bambini che ha visto nascere a Casa Serena, la struttura di accoglienza che da quando l’ha aperta, a Firenze nel 2006, a quando ha passato la mano, nel 2021, ha ospitato 1.000 e più persone, tra le quali 200 madri con figli e 400 donne sole, ma anche 20 famiglie sotto sfratto. Lei è stata a lungo presidente provinciale dell’Associazione Cattolica Internazionale al Servizio della Giovane (Acisjf), nata in Svizzera nel 1897 con la benedizione di papa Leone XIII e arrivata a Torino nel 1902, emanazione di un ambiente aristocratico e borghese impegnato nel sociale. Un affare di “madamine”, insomma, che si mettono in testa di salvare le ragazze finite nella “tratta delle bianche”, la prostituzione che allora si esercitava nelle case chiuse, poi di dare un approdo sicuro alle mondine che arrivavano giovanissime da tutta Italia per faticare nelle risaie del Nord.
Tante le evoluzioni dell’Acisjf nel corso dei decenni; oggi l’associazione è presente nella penisola con 16 comitati locali e 13 case di accoglienza, con 530 posti letto e diversi centri di ascolto e assistenza nelle stazioni della grandi città, i luoghi in cui approda tanta solitudine e talvolta disperazione. Adriana ha iniziato a occuparsi dell’associazione a Piacenza, dove aveva seguito l’amato marito Enrico e dove aveva cercato di capire cosa sarebbe germogliato da quella ferita dei bambini che non arrivavano, per quali strade quel dolore l’avrebbe portata. Aveva ancora nel cuore l’esperienza di aver fatto da mamma, ad appena 19 anni, a un bambino che don Lorenzo Milani le aveva affidato «perché non finisse in una casa di accoglienza», racconta ora.
Tornata a Firenze quando aveva già superato i 60 anni, ha guidato la sede dell’Acisjf, che allora aveva pochi mezzi e giusto i soldi per comprare i giornali con le offerte di lavoro e guidare le ragazze alla ricerca di un’occupazione. Lei quella sede l’ha fatta crescere, riuscendo con le altre volontarie a far funzionare l’Help Center al Binario 1 a Santa Maria Novella, dove si formavano le code dei senza tetto, dei rom, dei rifugiati e delle immigrate che chiedevano un pasto caldo, coperte o vestiti puliti e poi, allargando il raggio d’azione, si offrivano servizi di formazione e di orientamento al lavoro. Nel 2005 Adriana e le altre hanno aperto Casa Serena, perché alle donne e ai loro bambini in cerca di aiuto serviva anche un tetto sopra la testa e un percorso verso l’autonomia: i documenti, una formazione, un lavoro, un alloggio, supporto per crescere i figli. Sono tante le storie che Adriana potrebbe raccontare. La senzatetto che non parlava con nessuno tranne che con lei, fino a confidarle perché era approdata alla strada. La donna africana nascosta sotto un treno fermo, che era stata violentata perché voleva uscire dalla prostituzione e a cui i suoi carnefici avevano incollato sulla testa una parrucca bionda: Adriana la convinse a denunciare, i suoi carcerieri furono arrestati e lei riprese a vivere entrando a Casa Serena. Altre storie sono raccolte nel libro “Maria che scende dal treno” (Edizioni Universitarie Romane), di Anna Mirella Taranto, che attraverso il ritratto di 12 volontarie di tutta Italia traccia la storia dell’Acisjf, ne racconta le radici e l’attualità. Ma Adriana, a dispetto dell’età, non è «portata a vivere di ricordi», dice. «Vivo nel presente, vivo delle mie relazioni. Ho dedicato tanto di me stessa al volontariato e per me è stato far spazio agli altri, e sentirmi responsabile di loro, in particolare delle donne e della mamme, e anche della mia vita».

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