Famiglia

Educazione. «Ai genitori dico: usate la dolcezza»

Laura Badaracchi giovedì 1 febbraio 2024

Il maestro Camelo con i suoi bambini

Li chiama «messaggi incoraggianti», quelli che scrive sui quaderni degli alunni della scuola primaria per valutare i loro compiti. E sui profili social con numeri da influencer (su Instagram maestro_gabriele conta circa 149 mila followers) si definisce «maestro elementare e psicologo, videomaker e raccontatore», ma nella vita è stato anche «animatore, artista di strada, tour leader, educatore». Sono tante le sfaccettature del 42enne romano Gabriele Camelo, trapiantato dal 2017 a Palermo dove ha trovato «il mio pieno senso di casa. Non cerco più ulteriori esperienze. Mi sento realizzato e sereno. Per curiosità, passione e gratitudine studio ancora».

I suoi giudizi empatici sui quaderni sono diventati virali «e non mi spiego il perché». Ma forse la ragione sta nel fatto che viva l’insegnamento come una missione, dopo aver lavorato per un decennio in tv – fra gli altri, al programma “Le iene” di Italia1 e in altri canali televisivi, compresa Tv2000 –, dopo aver fatto l’operatore sociale ed essere partito nel 2008/2009 per la Bolivia con il Vis, Volontariato internazionale salesiano. «Sono sempre stato inquieto, in cerca del mio benessere, seguendo un percorso interiore di fede e di psicoterapia. Proprio la mia psicologa mi lanciò una provocazione e mi fece da specchio: “Parli sempre di Palermo. Perché non ci vai?”. Quando venivo qui a trovare mia madre, partendo da Roma o Milano dove vivevo per lavoro mi sentivo felice a livello epidermico. Ho deciso di ascoltare questo istinto e deciso di trasferirmi, di lavorare come insegnante perché mi piacciono i bambini. Ma prima di fare il concorso era necessario prendere la laurea abilitante in scienze della formazione primaria, che ho conseguito a L’Aquila. Poi ho venduto la mia casa a Roma, ho caricato la Panda sul traghetto a Civitavecchia e sono partito, in disaccordo con la mia famiglia e i miei amici».

Camelo cerca di motivare il suo amore per i bambini: «Deriva dal desiderio di abbracciare il mio bambino interiore, bisognoso d’affetto. Il mio modo di fare il maestro e stare con loro è forse legato a questa spiegazione psicologica. Fare del bene crea benessere: è un viaggio, una ricerca, si trova e si costruisce insieme con i bimbi, le famiglie, i colleghi». E poi questo bene arriva anche ai genitori, a cascata. Succede all’Istituto comprensivo statale “Rita Atria” nel centro storico del capoluogo siciliano, dove il maestro insegna dal 2017 al 2023. «Mi hanno detto che ci vivevano famiglie particolari, bambini difficili. Ho pensato a Cristo, che è andato sempre verso i margini, controcorrente: per chi è cristiano è una legge base. Quei bambini, indirettamente non voluti da alcuni colleghi, li ho scelti e amati. E ho trovato la mia quiete». Il primo giorno di scuola una collega gli disse: «Benvenuto all’inferno». Invece Camelo ha scoperto «che era il mio Paradiso: quei bambini difficili sono diventati parte della mia famiglia, perché se li sai prendere ti amano da morire. I loro genitori, vedendoli contenti, mi hanno regalato la cosa più bella: la fiducia totale. Si affidavano a me e c’erano dialogo, confronto, scambio; spesso andavo anche a trovarli a casa. Così mi sono sentito molto libero nella relazione con gli alunni, con una didattica fortemente incentrata sulle esperienze da fare anche fuori dalla classe». Le famiglie hanno anche firmato le liberatorie per scattare foto e filmare video in classe con i loro figli, che si sono sentiti «protagonisti» e portatori di un messaggio educativo rivolto ad altre famiglie. Il materiale, con il consenso dei genitori, è confluito anche sui profili social di Camelo. «Ogni giorno ricevo decine di messaggi di genitori che confidano le loro difficoltà con i figli e chiedono aiuto: non riesco a rispondere a tutti con la cura che vorrei, non ho il tempo né l’energia».

Dall’anno scolastico 2023/2024 il maestro insegna italiano e inglese in due classi dell’Istituto comprensivo statale “Rita Borsellino”, dove alcune famiglie «non condividono la scelta di riprendere i bambini in classe e l’esposizione sui social: un’opposizione rigida ma anche sensata. A latere continuo a raccontare in maniera più delicata la didattica secondo il mio stile, senza riprendere né coinvolgere in maniera diretta i bambini». Comunque «le famiglie sono specchio della felicità dei bambini: se vedono che tornano a casa sereni, apprendono e migliorano didatticamente, accettano anche la metodologia dell’insegnante.

La serenità degli alunni è un “virus” che si diffonde nella famiglia. La relazione dolce fra il maestro e gli alunni? Nulla di straordinario, lo fanno anche gli altri colleghi». Per il suo approccio pedagogico e la sua didattica esperienziale, Camelo vuole «dire grazie a don Lorenzo Milani, alla sua gioia rivoluzionaria di occuparsi dei piccoli e al percorso controcorrente a Barbiana: è come un angelo per me. Mi ispiro anche a Jean-Jacques Rousseau: un bambino cresce con l’esperienza formante l’identità, quindi deve fare, agire, correre e cadere. In generale, la formazione cristiana ha coltivato in me dei valori che traduco in insegnamento: da C.S. Lewis e il suo “Il cristianesimo così com’è” a Etty Hillesum, con la sua capacità di trasformare il dolore in propositi».

Al netto dei messaggi incoraggianti, quindi, «di cui i genitori sono contenti», al centro resta sempre la relazione con gli alunni. «Mi sto laureando in psicologia clinica e sono laureato in pedagogia: si sa per esperienze sul campo e ricerche che nella fascia 0-10 anni serenità, dolcezza, umanità e apprendimento sono fortemente collegati. Un bambino, se ha un problema ed è triste, non si metterà mai al banco a scrivere finché non risolvi il problema che è nel suo cuore. Lavorare con la dolcezza per il bene dei bambini è pane di tutti i giorni per me e tantissimi colleghi che fanno un lavoro meraviglioso».

E conclude: «Fra le critiche dei miei messaggi ai bambini c’è il fatto che è antipedagogico che un maestro scriva “sono fiero di te”. Secondo queste teorie, bisogna dissociare la valutazione della persona che non bisognerebbe mai fare, dalla valutazione delle performance, più efficace e che non crea dipendenza. Quindi non “sono fiero di te”, ma “sono fiero del lavoro che hai svolto” o “puoi essere fiera del lavoro svolto”. Un’alunna ha scritto sul quaderno: “Io sono speciale e sono fiera di me”. Mi piace pensare che ciò che scrive sia riflesso anche dei miei messaggini (usa le stesse parole), oltre che del lavoro fatto dai genitori, senza dubbio».