Chiesa

L'anniversario. Don Nicolini, la vita con i rom

Susanna Placidi domenica 28 agosto 2022

È stato nel 1963 il fondatore dell’Opera Nomadi e si occupò della realizzazione del Primo Convegno Internazionale per la pastorale zingara. Fu anche segretario dell’Opus Apostolatus Nomadum. Nella foto don Bruno Nicolini mentre celebra Messa

Dieci anni fa il 17 agosto 2012 si spegneva a Roma ospite di una casa famiglia della Comunità di Sant’Egidio, a cui è stato molto legato, don Bruno Nicolini, l’apostolo dei sinti e dei rom, a cui ha dedicato in modo appassionato tutta la sua vita. L’incontro di don Bruno con gli “zingari” risale ai primi anni del suo ministero sacerdotale, quando il vescovo della sua diocesi gli chiese di occuparsi di loro, particolarmente presenti nella diocesi di Trento e Bolzano-Bressanone. Un incarico che lo colse di sorpresa. «Fui mandato – amava ricordare – a fare un mestiere a cui non avevo mai pensato e che all’inizio probabilmente neanche desideravo». La sua amicizia con il mondo dei sinti e dei rom è radicata nell’obbedienza al suo vescovo. Don Bruno entra in contatto con questo popolo di itineranti attraverso la scuola che gli permette di insegnare a leggere e scrivere a centinaia di bambini e nello stesso tempo ad entrare «in confidenza con un mondo così lontano dal suo originario orizzonte umano, culturale e religioso». I primi anni del suo ministero sacerdotale sono monopolizzati dall’impegno per i sinti e i rom. Oltre a fare scuola si occupa delle famiglie dei bambini cercando di rimuovere le condizioni della loro emarginazione e impegnandosi nella difesa dei loro diritti, per questo nel 1963 fonda l’Opera Nomadi. Nel febbraio 1964 Paolo VI lo chiama a Roma per organizzare il Primo Convegno Internazionale per la pastorale zingara, che anticipa, in un certo senso il pellegrinaggio che il Papa compirà per incontrare gli zingari europei dal 25 al 27 settembre 1965 alle porte di Roma, di cui don Bruno sarà uno dei principali organizzatori. Un gesto profetico che esprime quella «rivoluzione Samaritana» operata dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

A Pomezia il Papa incontra per la prima volta il “mondo zingaro” nelle sue più diverse articolazioni manifestando loro l’attenzione e la vicinanza della Chiesa. Il discorso del Papa giunge al cuore di molti di loro che ricorderanno con nostalgia questa affettuosa prossimità manifestata dal capo della Chiesa cattolica, soprattutto quando dice loro: «Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore… siete nel cuore della Chiesa perché siete poveri e bisognosi di assistenza, di istruzione, di aiuto… È qui nella Chiesa, che voi vi accorgerete di essere non solo soci, colleghi, amici, ma fratelli». Per Paolo VI gli zingari non sono più “stranieri” ma “amati figli della Chiesa”. Al termine di quell’incontro i partecipanti donano al Papa una Madonna, opera di un artigiano della Val Gardena, che papa Montini incorona come “Regina degli zingari”, di cui don Bruno conserverà una copia nella sua camera, fino alla fine dei suoi giorni.

Dopo Pomezia il Papa approva la nascita dell’Opus Apostolatus Nomadum, di cui don Bruno è nominato segretario, che di lì a poco troverà la sua definitiva configurazione giuridica nell’ambito del Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti. Dalla fine del Concilio don Bruno si trasferisce definitivamente a Roma divenendo un punto di riferimento per tutti coloro che operano con gli zingari, stabilendo una rete di contatti e di relazioni con una serie di “cappellani” che in Spagna, Francia, Germania, Olanda e Belgio si occupano di sinti e di rom. Il 22 gennaio 1984 convince di intesa con un altro giovane sacerdote, particolarmente attento al mondo dei rom, don Matteo Maria Zuppi, al tempo viceparroco della parrocchia di Santa Maria in Trastevere, Giovanni Paolo II ad un “fuori programma” accompagnando a visitare un campo nella parrocchia di Tor Bella Monaca a Roma. Un’occasione che permette a Wojtyla di esprimere ancora una volta la vicinanza e l’affetto della Chiesa per questo “popolo di esclusi”. Don Bruno non si accontenta di seguire solo pastoralmente i rom e i sinti, ma sceglie di approfondirne la storia e la cultura fondando a questo proposito il Centro Studi Zingari e una specifica rivista culturale, «Lacio Drom» (in lingua romanes «Buon Viaggio») nella speranza di contribuire all’elaborazione di una nuova cultura della tolleranza e della solidarietà. Negli ultimi anni della sua vita si batte per la costruzione di una “Chiesa a cielo aperto” presso il Santuario del Divino Amore di Roma, come luogo di specifica accoglienza per la preghiera dei rom e dei sinti, ma anche memoriale del «porrajmos» (l’espressione romanes con cui si indica lo sterminio dei Rom durante la seconda guerra mondiale), dedicata a Zefirino, il primo beato gitano beatificato da Giovanni Paolo II il 4 maggio 1997.

Don Bruno è stato innanzitutto un uomo di fede robusta e granitica, come le sue montagne del Trentino che ha perseverato con coraggio, tenacia e pazienza affinché il popolo dei Rom e dei Sinti incontrasse il Signore, lottando affinché i loro diritti fossero riconosciuti, liberando gli zingari dal cliché del reietto e del disperato, combattendo contro ogni razzismo. Don Bruno per molti di loro è stato un Buon Pastore che si è preso cura delle pecore che il Signore gli ha affidato, ma anche un pioniere, un protagonista di un inedito apostolato nei confronti di un popolo troppo a lungo non amato e non compreso, a cui invece lui ha dedicato tutta la sua vita di uomo e di sacerdote.