Chiesa

Milano. Addio a don Caniato il prete da "galera" stimato da Giovanni Paolo II

Filippo Rizzi mercoledì 3 maggio 2023

Monsignor Giorgio Caniato di fronte al carcere milanese di San VIttore

Sulle colonne del “nostro” Avvenire, attraverso i suoi scritti o le tante interviste concesse al nostro quotidiano aveva raccontato la vita e il dramma di chi vive in carcere. Spesso in condizioni non rispettose della dignità umana. Ma non solo. Nella sua veste di ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane fu uno degli ispiratori quasi “il motore nascosto” del Giubileo dei carcerati nel 2000, voluto da Giovanni Paolo II e tra i promotori del provvedimento dell’indulto promosso dal governo Prodi e dal suo guardasigilli di allora Clemente Mastella nel 2006. Si possono ascrivere in queste poche righe i principali meriti di monsignor Giorgio Caniato, sacerdote ambrosiano, storica anima dei detenuti del carcere di San Vittore: morto nella notte tra sabato 29 e domenica 30 aprile, nel reparto che ospita i preti anziani dell’arcidiocesi milanese alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone, all’età di 95 anni. Un personaggio che ha legato tutto il suo ministero di “semplice” prete “da galera” - per stare sempre in ascolto dei reclusi del carcere di San Vittore. Don Caniato fu, tra l’altro, tra i testimoni assieme al salesiano don Luigi Melesi di un gesto molto simbolico ed eclatante compiuto proprio da Martini nell’istituto di pena di piazza Filangieri di cui era allora cappellano: il Battesimo, il 13 aprile 1984, dentro la sezione femminile che il porporato gesuita volle amministrare personalmente ai due figli gemelli Nicola e Lorenza , dei terroristi e «irriducibili » di Prima Linea Giulia Borelli e Enrico Galmozzi. Originario di Milano (vi era nato il 1 gennaio 1928), don Giorgio aveva iniziato il suo ministero come prete dell’oratorio, prima a Casoretto e poi a Sant’Eustorgio. A soli 27 anni era diventato anche cappellano al carcere di San Vittore, ma aveva dovuto aspettare l’arrivo in diocesi di Giovanni Battista Montini nel 1955, perché il predecessore sulla Cattedra ambrosiana il cardinale benedettino Alfredo Ildefonso Schuster lo considerava troppo giovane e “acerbo” per quel delicato incarico. Fu comunque Schuster a ordinarlo presbitero in Duomo a Milano il 19 maggio 1951. Don Caniato si è dedicato per oltre mezzo secolo alle persone che avevano commesso reati, ma di una cosa si era convinto: «Il carcere è una struttura anti-umana e anti-cristiana».

Prete dei detenuti di San Vittore per volere di Montini e Martini

​Un ruolo che fin da quel lontano 1955 aveva svolto con passione, determinazione e severità. La lunga esperienza (42 anni) nell’istituto di pena di San Vittore, nel cuore storico di Milano, lo porterà, nel 1997, ad assumere l’incarico di ispettore dei cappellani (sotto la sua guida ve ne erano allora 240 sparsi nei penitenziari della Penisola), con nomina da parte della Cei, e a trasferirsi a Roma. Un impegno che lascerà solo a 83 anni, con tanto di lettera di ringraziamento verso tutti coloro con cui ha collaborato nei decenni. Di quel periodo romano è giusto mettere a fuoco questa istantanea: la celebrazione in un afoso luglio del 2000 del Giubileo dei carcerati con la Messa, presieduta nel carcere trasteverino Regina Coeli, da Giovanni Paolo II.

La parte conclusiva del suo mandato da ispettore generale fu spesa anche pubblicamente per chiedere alle autorità civili del nostro Paese di «individuare delle misure alternative alla detenzione in carcere» per tante persone. Come forte fu il plauso nel luglio del 2006, - era Pontefice Benedetto XVI - quando fu approvato il provvedimento dell’indulto. E degne di nota furono le sue parole: «Questo provvedimento va incontro a molte situazioni di grave difficoltà relative al sovraffollamento al limite dell’umano. Si è trattato di un “gesto di clemenza’’ a favore del mondo carcerario, proprio come era stato indicato da Giovanni Paolo II durante il Giubileo del 2000 e, successivamente, durante il discorso fatto dal Pontefice a Montecitorio». Come ferma fu la condanna di Caniato per le condizioni di detenzione sperimentate da Stefano Cucchi prima della sua tragica morte nel 2009. E chiaro e amaro fu il suo commento pochi giorni dopo la morte di Cucchi: «Il carcere è una struttura repressiva. Ci sono uomini detenuti e altri che li devono tenere. Non c’è collaborazione, ma uno scontro strutturale».

Il 3 maggio i funerali a Cesano Boscone presieduti da De Scalzi


Mercoledì mattina si sono svolti presso la chiesa della Sacra Famiglia di Cesano Boscone i funerali di don Caniato. A presiederli è stato il vescovo ausiliare emerito di Milano Erminio De Scalzi.