Agorà

La ricorrenza. San Valentino per chi... perde la testa e il cuore

Vittorio A. Sironi sabato 12 febbraio 2022

Józef Buchbinder, “San Valentino” (particolare)

San Valentino e gli innamorati. Un binomio consolidato per la festa che si celebra il 14 febbraio. Oggi una ricorrenza laica e consumistica più che una celebrazione per richiedere la protezione religiosa di chi è fidanzato. Il legame tra il santo e il sentimento dell’amore di coppia è antico, derivato dalla sua biografia e dalla tradizione tramandata dal tempo. Valentino, vescovo di Terni, morì martirizzato nel 273, fatto decapitare dall’imperatore Aureliano per essersi rifiutato di rinnegare la propria fede. Alcuni secoli dopo, nel 496, papa Gelasio I santificò il patrono di Terni come protettore degli innamorati e degli sposi. Infatti, secondo la tradizione, il vescovo Valentino, superando le difficoltà e gli ostacoli di un amore nato tra persone di fedi diverse, aveva unito in matrimonio una donna cristiana, Serapia, con un legionario pagano, Sabino, suscitando l’ira dell’imperatore che l’aveva poi condannato a morte. In realtà l’istituzione il 14 febbraio della festa di San Valentino servì alla Chiesa per sostituire i rituali pagani della fertilità, che si svolgevano nella stessa data con la scabrosa celebrazione dei Lupercali (una ricorrenza dedicata al Fauno Luperco, divinità licenziosa e difforme dai valori cristiani dell’amore), con una manifestazione religiosa consacrata all’amore sponsale.
Prima che si diffondesse la fama di protettore degli innamorati, San Valentino era universalmente considerato protettore degli epilettici. L’epilessia (un termine derivato dal verbo greco epilambano, che significa "cogliere di sorpresa", con riferimento all’insorgenza improvvisa delle crisi tipiche di questa patologia) è una malattia nota dall’antichità, la cui origine era ritenuta soprannaturale e pertanto definita "morbo sacro". Per molti secoli fu considerata espressione di possessione diabolica, anche se già Ippocrate, il padre della medicina moderna, vissuto in Grecia nel IV secolo a.C., aveva escluso la sua genesi soprannaturale, spiegandone invece l’origine naturale e identificando la causa di questo disturbo in un danno del cervello.

Le crisi epilettiche erano in passato talmente temute come fonte di sventura e di malaugurio che, in epoca romana, se qualcuno presentava convulsioni mentre partecipava a un comizio, l’adunanza veniva immediatamente sospesa e sciolta. Da qui il nome di "crisi comiziali", che insieme a quello di "male caduco" - derivato dal fatto che l’accesso epilettico generalizzato provoca la repentina caduta a terra del soggetto che ne è affetto - ha indicato nel tempo questa malattia. Un disturbo che solo nella seconda metà dell’Ottocento è stato correttamente inquadrato come espressione di una condizione patologica di natura neurologica, dovuta in alcuni casi a una sofferenza cerebrale malformativa, ipossica, vascolare o neoplastica, in altri semplicemente legata a una disfunzione parossistica di estese popolazioni neuronali, con alterazioni elettriche dei fisiologici meccanismi di attività encefalica.
Ignoranza, pregiudizio e stigma sociale hanno influito nei secoli passati (e purtroppo spesso ancora oggi) nel determinare la discriminazione sociale nei confronti di questi malati. Anche se sono stati affetti da epilessia molti importanti personaggi storici (Giulio Cesare, Alessandro Magno, Napoleone, solo per citarne alcuni) e famosi artisti (come ad esempio Francesco Petrarca, Torquato Tasso, Fjodor Dostoevskij).

Sia pure con manifestazione cliniche differenti - vi sono crisi cosiddette "parziali" senza compromissione della coscienza e altre invece "generalizzate" con perdita di coscienza -, l’epilessia è la malattia neurologica più diffusa al mondo. Ne sono affette oltre 50 milioni di persone, 500 mila solo in Italia. È una condizione patologica curabile e guaribile grazie a farmaci in grado di controllare e spesso di eliminare completamente le crisi. Farmaci realmente efficaci sono però disponibili solo da poche decine di anni. In precedenza, in assenza di rimedi terapeutici adeguati, a partire dal Medioevo, quando ancora l’epilessia era ritenuta una possessione maligna ed era vista come una manifestazione soprannaturale, l’unica possibilità per curare e guarire questi malati era invocare l’aiuto divino dei santi taumaturgici. Ecco allora l’importanza di san Valentino come patrono e protettore degli epilettici. Una devozione collegata alla tradizione della miracolosa guarigione da lui operata del figlio del maestro di retorica latina Cratone, affetto da "male comiziale". Inoltre, lo stesso tipo di martirio subito dal vescovo di Terni, la decapitazione, era emblematicamente indicativo del fatto che, con la perdita della testa ritenuta comunque la sede da cui originava il male, il valore taumaturgico del santo contro l’epilessia assumesse una maggiore importanza. A riprova di ciò, anche un altro santo martirizzato con la decapitazione, san Donato, vescovo di Arezzo nel IV secolo d.C., è venerato in alcune regioni del Sud (Abruzzo, Puglia, Molise e Basilicata) come protettore degli epilettici. Secondo alcuni per la guarigione che egli operò a beneficio di alcuni indemoniati, secondo altri perché egli stesso era affetto da epilessia.

Secondo alcune fonti l’origine del culto di San Valentino, venerato soprattutto nel Nord Italia come santo ausiliario degli epilettici, potrebbe essere stata molto più semplice, derivata, cioè, dall’intuitivo collegamento linguistico con il termine latino valere, cioè star bene in salute: da cui appunto il nome Valentinus, col significato apotropaico a esso collegato. In ogni caso, sia per i vincoli del cuore che legano gli innamorati, sia per l’azione protettiva della testa per gli epilettici, san Valentino merita di essere ricordato e celebrato con il sentimento e con l’intelletto. Aspetti entrambi inscindibili di una realtà umana che invoca l’aiuto di un intercessore per i suoi bisogni, dimensioni esistenziali sublimate da un’intensa esperienza religiosa.