Agorà

Il personaggio. Rullo, il dottore dei Matti per il calcio

Massimiliano Castellani giovedì 11 novembre 2021

«Imatti vanno contenti tra il campo e la ferrovia...», canta Francesco De Gregori, che forse non sa che i “matti per il calcio” scendono in campo e non per cercare grilli e serpenti, ma per andare in gol, per battere la solitudine e l’isolamento in cui sono confinati. L’idea geniale di usare il calcio come terapia per pazienti con disabilità psicosociale è venuta a un medico da sempre in prima linea: il dottor Santo Rullo, 60 anni, primario psichiatra della clinica romana di Villa Letizia. È lui il “Santo patron” che, tolto il camice bianco ed uscito dalla corsia, un giorno del 2004 ha deciso di mettere assieme un gruppo di pazienti depressi, bipolari, schizofrenici... e li ha gettati su un campetto della periferia romana.

È nata così la squadra di calcio a 5 del Gabbiano, la Polisportiva della Bufalotta che con le altre compagini del campionato Uisp e diversi operatori della salute mentale hanno dato vita a questo network modello, tutto italiano. «I primi a studiare la nostra “calcioterapia” sono stati i giapponesi – ricorda il dottor Rullo – . La sociologa dell’Università di Yokohama, Nobuko Tanaka, venne qui da noi a conoscerci già nel 2009», ricorda il medico romano che con lo sceneggiatore Francesco Trento e il regista Volfango De Biasi hanno scritto e documentato passo dopo passo, anzi gol dopo gol, gli inizi di Matti per il calcio. Il docufilm che racconta di questa “pazza idea”, dai primi allenamenti all’impianto Pio XII, il campo che dall’alto domina il cupolone di San Pietro, fino alle selezioni della Nazionale di disabili mentali effettuate dall’«insostituibile» ct Enrico Zanchini.

Dei trenta calciatori, «tra loro anche una donna, Mara», mister Zanchini scelse la rosa dei “magnifici 10” che presero parte alla prima spedizione Mondiale di Giappone 2016. Vinsero i padroni di casa, e nel Sol Levante gli azzurri di Zanchini ci arrivarono grazie ai 30mila euro della casa ipotecata dal dottor Rullo. Al grido di «Branca, Branca Branca, Leon, Leon, Leon!, quell’armata tricolore ottenne il 3° posto in un memorabile 4-3 contro il Perù. Immagini da amarcord, commoventi, ancora una volta raccontante e riprese dalla coppia Trento-De Biasi nel sequel Crazy for football premiato con il David di Donatello come miglior documentario del 2017. Un piccolo miracolo sportivo il podio di Osaka, essere riusciti a far diventare una squadra, un gruppo di “dissociati dal mondo”, abitati da spettri traumatici. «Molti di loro mi dissero di sentire le voci nella testa – ricorda il ct Zanchini – allora ordinai: d’ora in poi l’unica voce che ascolterete sarà la mia».

La voce del pallone. Rullo e Zanchini da allora non hanno mai smesso un giorno di seguire sul campo questi ragazzi, e le loro storie hanno stregato anche Sergio Castellitto e Max Tortora, protagonisti di Crazy for football. Matti per il calcio, il lungometraggio diretto sempre da Volfango De Biasi, appena presentato al Festival del Cinema di Roma (si può vedere su Rai Play). Castellitto rispolverando il suo personaggio di Marco Lombardo Radice de Il grande cocomero– altra splendida pellicola di Francesca Archibugi sul disagio mentale – ha indossato i panni e sposato l’anarchia psichiatrica del dottor Saverio Lulli, alias Santo Rullo, mentre Max Tortora ha messo la tuta di mister Zaccardi, ovvero il ct Zanchini.

Il risultato? Un film toccante («bravissimi i protagonisti e dei malati credibili tutti gli attori. Forse io sono un po’ meno pazzo di Saverio e sicuramente con una famiglia più regolare della sua», precisa divertito Rullo) che fa anche sorridere per l’autoironia reale dei calciatori di questa Nazionale che nel frattempo, nel 2018, «il 13 maggio, nel giorno del quarantennale della legge Basaglia », a Roma si è laureata campione del mondo. «Il film arriva fino al Mondiale del 2016, ma noi non ci siamo mai fermati – continua il dottor Rullo – . L’esercizio fisico aumenta la serotonina e la dopamina, così i casi di pieno recupero con il calcio si attestano intorno al 33%. Un altro 33% va tenuto in regime di trattamento e con buoni margini di guarigione. Purtroppo rimane quel 33% che è soggetto a ricadute».

Nel film un caso di ricaduta è quello di Fabione, distrutto dalla morte della madre, viene salvato dal suicidio quando in preda al delirio dopo aver sradicato la statua di una Madonnina la piazza sul bancone di un bar... «La scena della preghiera alla Vergine Maria di Fabione è straziante... Con situazioni simili noi dobbiamo fare i conti tutti i giorni – dice Rullo – . Le sconfitte ci sono, e non solo in campo, ma le vittorie sono altrettante: il calcio spesso può evitare il farmaco a questi pazienti e la leggerezza dello sport può battere la pesantezza della pillola che circola nei loro corpi». Tornare a sentirsi leggeri, spazzando via un pallone dall’area delle proprie paure e dei tanti dolori repressi. «In quella prima esperienza di squadra, più che sulle doti tecniche abbiamo puntato a coprire tutte le aree del disagio e dell’assistenza. Perciò, spazio a un over 45 della comunità terapeutica come a un ragazzo completamente recuperato. Dentro Antonio, il calabrese che non era in trattamento, anzi sfuggiva, come all’oriundo depressissimo che aveva avuto trascorsi di doppia emigrazione». Il “Dottore” passa in rassegna i volti e le vicende di tutti coloro che hanno fatto parte della Nazionale e che hanno cambiato in corsa il loro destino. «Ruggero, il “Cappuccetto nero” del film di De Biasi, era rimasto per mesi legato a un letto. Quando entra nella squadra non vuole la maglia a maniche corte perché ha le braccia “tagliate” per i ripetuti tentativi di suicidio. Ma alla fine trova il coraggio di mostrare quelle ferite profonde e di abbracciare i compagni – racconta Rullo – . L’abbraccio che per noi è un fatto normale, per un ragazzo autistico rappresenta un tabù, così come sporcarsi le mani nel fango. Enrico ripeteva: “Il contatto mi dà fastidio perché in famiglia ho subìto violenze, ma quando gioco a calcio il contatto con gli altri mi piace».

Il network “Matti per il calcio” piano piano dall’oblio, prima che al cinema, era apparso anche in tv. «Rai Sport ha trasmesso le dirette delle partite dei Mondiali del 2018 e tra le tante cose belle di quei giorni c’è la storia di un papà di un nostro ragazzo che era imbarcato su una nave al largo di Cipro. Ogni giorno tutto l’equipaggio seguiva con lui le partite di quel figlio con problemi psichiatrici del quale non aveva mai trovato il coraggio di parlare... ».

C’è un ragazzo nel film che il papà va a riprendere nel ritiro della Nazionale e lo riporta a casa. «È accaduto veramente. Quel genitore è il prototipo di ciò che non dovrebbe mai fare una famiglia, e cioè nascondere il proprio figlio e pretendere che sia sano, non rispettare le volontà del ragazzo e cosa ancora più grave, negargli il sogno. Perché il calcio per i nostri ragazzi è un grande sogno realizzato». Specie per quelli che avevano anche provato a fare del calcio un mestiere, come Enrico che ha giocato nelle giovanili della Reggiana o il sardo Christian, “l’uomo foca” che vanta un passato da freestyler, «un palleggiatore spettacolare che girava le piazze e i palazzetti per esibirsi in pubblico, ma fino a 27 anni era un autistico isolato costretto a giocare da solo, così ora va ripetendo: “Se mi avessero fatto giocare con gli altri fin da bambino, a quest’ora sarei Maradona”». Il bomber Mattia ha giocato in promozione e ora pare stia attraversando un momento di difficoltà, «oscilla tra la depressione più nera e lo splendore del suo narcisismo che gli fa dire: “Rispondo alla convocazione solo se mi date 500 euro per piede”. La nostra risposta, che poi è diventata la battuta di mister Zaccardi nel film, è: noi non ti diamo quelle cifre, perché tu sei impagabile».

La Nazionale italiana dei pazienti con disabilità psicosociale campione del mondo - .

Impagabile è anche il sostegno e la vicinanza dei campioni del calcio come Sinisa Mihajlovic, uno dei grandi amici del dottor Rullo e della sua Nazionale che guarda ai prossimi Mondiali. «Abbiamo due sogni. Uno, disputarli in Qatar in contemporanea con i Mondiali del 2022. L’altro è riuscire a portare i grandi assenti di Roma 2018, la nazionale del Senegal. Nonostante gli sforzi di convocare dei ragazzi “staccandoli dagli alberi”, i senegalesi per mancanza di fondi non riuscirono ad arrivare in Italia e quei pazienti-calciatori sono rimasti chiusi nei loro manicomi... Ecco, il calcio che conta può farsi testimonial della campagna “chiudiamo i manicomi in tutto il mondo” – conclude il dottor Rullo – . Sono ancora tanti i muri che vanno abbattuti e che nascondono altri muri, quelli dell’indifferenza e dell’invisibilità».