Agorà

IL FIGLIO RENZO. «La tv che sognava mio padre Rossellini»

Andrea D'Agostino lunedì 22 ottobre 2012
​«Ho dedicato tutta la mia esistenza per tentare di fare del cinema un’arte utile agli uomini». È l’incipit di una lettera inedita scritta dal regista Roberto Rossellini a suo figlio Renzo, dove sembra voler tracciare un bilancio della sua lunga carriera. E proprio ieri Renzo è stato a Pordenone per partecipare alla rassegna Una pagina che cambia la vita a cura di Stefano Moriggi, filosofo della scienza, nell’ambito del festival Scienzarteambiente (17-21 ottobre). Nel suo caso la pagina, ovviamente, è stata proprio quella lettera, una sorta di testamento spirituale del grande regista, autore di capolavori che hanno fatto la storia del cinema, e non solo quello italiano: da Roma città aperta a Germania anno zero, da Francesco giullare di Dio a Il generale Della Rovere passando per la serie di film con Ingrid Bergman (Stromboli, Viaggio in Italia, La paura). Senza poi dimenticare il vasto ciclo di opere per la televisione sui grandi personaggi della storia come Socrate, Agostino, Luigi XIV, Cartesio o Galileo. «Dal 1977, anno della morte di mio padre – racconta Renzo –, il mio sforzo è stato quello di far capire la portata culturale della poetica dei suoi film, attenta più ai contenuti etici e morali che estetici, in anticipo sui tempi per essere davvero compresa. Per farlo mi sto occupando da allora dei suoi archivi, nei quali ci sono 16.000 pagine di scritti, molti dei quali inediti».Può dirci qualcosa della lettera che ha letto a Pordenone?È l’ultima che mi ha scritto mio padre prima di morire – è datata dicembre 1976 – e la considero un testamento al quale non mi voglio sottrarre: nelle sue parole sottolinea ancora una volta come la sua opera, sia cinematografica che per la televisione, abbia un grande valore didattico e tenda a essere utile per un’umanità attenta alla qualità del suo futuro. Nell’ultima parte della sua carriera, suo padre si dedicò al grande progetto enciclopedico per la televisione: cosa ricorda di quegli anni? In quella fase di film storici ho affiancato mio padre e spesso abbiamo girato i film a quattro mani: le due serie L’età del Ferro (durata: cinque ore) e La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza, 12 puntate da un’ora, di cui volle che ne firmassi io la regia. La ragione per cui si è dedicato ai film sulla storia è stata perché vedeva la gente disorientata e smarrita di fronte alle modernità. Citando un adagio del Talmud, "Quando non sai dove andare guardati indietro da dove vieni", ha applicato questo principio al suo lavoro: non per raccontare storie, ma la Storia, per orientare le future generazioni usando un potente media come l’audiovisivo.Quel ciclo di film mantiene ancora oggi la sua attualità?Certo, credo che mio padre abbia trasformato il cinema da strumento di intrattenimento in un’arte "adulta". I suoi film contengono tutti forti messaggi etici e morali utili anche al mondo attuale, e credo sia giusto che le giovani generazioni conoscano la sua opera.Se Roberto Rossellini fosse vivo oggi, secondo lei che genere di film girerebbe? E soprattutto, lavorerebbe ancora per la televisione?Se fosse ancora vivo sarebbe un disoccupato, e la Rai, corrotta nell’inseguimento dell’audience delle televisioni private, non avrebbe sicuramente più ospitato suoi film. E lei come vede la situazione del cinema di oggi in Italia?Nel nostro Paese abbiamo moltissimi talenti cinematografici, giovani e meno giovani, ma è un’industria che non si è rinnovata: anzi, è invecchiata e malata. Molti film italiani sono belli, ma spesso non arrivano al pubblico per colpa della distribuzione. Abbiamo fatto l’Europa dell’Euro, ma non della Cultura: abbiamo 500 milioni di potenziali spettatori contro i 200 milioni degli Stati Uniti, e se organizzassimo meglio la distribuzione nel mercato europeo, avremmo una cinematografia molto più forte di quella di Hollywood.