Agorà

Francoforte. La Buchmesse del dialogo

Alessandro Zaccuri mercoledì 14 ottobre 2015
Ieri i padiglioni della Buchmesse erano ancora chiusi, ma se la mappa non inganna gli editori italiani sono andati a sistemarsi proprio là dove, fino all’anno scorso, troneggiava lo stand del Giardino dei Libri di Teheran. «La più grande esposizione permanente dell’editoria a livello mondiale», spiegava il dépliant, e sul dato quantitativo non c’era probabilmente di che eccepire. Questa volta, niente Giardino. L’Iran ha cancellato la partecipazione ufficiale alla Fiera di Francoforte in segno di protesta per la visibilità accordata a Salman Rushdie, lo scrittore angloindiano colpito nel 1989 dalla fatwa dell’ayatollah Khomeini. Allora era in questione il contenuto, ritenuto blasfemo, dei Versi satanici, oggi Rusdhie si presenta ancora polemico verso le religioni, anche se il suo ultimo romanzo (Due anni, otto mesi & ventotto notti, edito in Italia da Mondadori), appare in qualche modo possibilista: la ragione è destinata a dominare, ma forse l’uomo non è ancora disposto a rinunciare del tutto all’invisibile.Affidare a Rushdie il discorso della conferenza stampa d’apertura non è stato, in ogni caso, un errore della Buchmesse. Un preciso calcolo strategico, semmai, come ha confermato il direttore della manifestazione, Juergen Boos, un manager finora noto per le sue qualità organizzative, ma che negli ultimi tempi sta manifestando una crescente attenzione verso le tematiche culturali. «Non sono affatto lieto del boicottaggio di Teheran», ha dichiarato ieri Boos (ma una decina di editori iraniani ha comunque voluto partecipare, a dispetto della presa di posizione governativa). Dopo di che, il direttore della Buchmesse non ha esitato a definire «non negoziabile» il principio della libertà di espressione, citando insieme con quello di Rushdie il nome di un altro protagonista di questa edizione, il saggista di origine iraniana Navid Kermani, vincitore del premio per la Pace tradizionalmente assegnato dall’associazione dei Librai tedeschi. «Ero convinto che la battaglia per la libertà di parola fosse stata vinta un secolo fa – gli ha fatto eco lo stesso Rushdie –, il fatto che ora si debba tornare a combattere dipende da una serie di fattori tanto recenti quanto deplorevoli». Lo scrittore ha poi aggiunto: «Agli uomini di cultura spetta oggi un compito simile a quello degli illuministi del diciottesimo secolo: scrittori, editori e cittadini devono difendere di nuovo la libertà d’opinione contro i fanatici religiosi». Tuttavia Rushdie ha messo in guardia dai pericoli che possono venire anche da Occidente: «Uno arriva dall’aspirazione al politicamente corretto». A suo dire, si è realizzata «una strana alleanza fra una parte della sinistra europea e i pensatori radicali dell’islam». Rushdie infine ha criticato la convinzione dei pensatori occidentali che la libertà d’opinione sia una specificità culturale e possa essere valida solo in alcuni paesi: «Invece è un diritto universale».Anche a Francoforte, insomma, il 2015 è l’anno dell’attacco a “Charlie Hebdo” e della strage di Ankara, delle devastazioni operate dal sedicente Stato Islamico e delle chiese incendiate dagli estremisti anche in Indonesia, il Paese ospite d’onore della Buchmesse. È, più in generale, l’anno in cui la Fiera si è imposta di cambiare passo, accentuando sempre di più la sua funzione di luogo di discussione e confronto. A fianco dell’appuntamento professionale che, dal dopoguerra in poi, rappresenta il più importante mercato per la compravendita di diritti editoriali, c’è sempre stata, del resto, l’altra Buchmesse, frequentatissima dai visitatori di lingua tedesca, che qui hanno occasione di sfogliare le ultime novità, incontrare gli autori del momento, assistere a dibattiti e tavole rotonde.La nuova geografia della kermesse intende esaltare proprio questo aspetto. Da un lato, infatti, la ridistribuzione degli spazi espositivi cerca di razionalizzare costi e benefici (l’editoria delle aree anglosassoni si conferma egemone, ma il comparto dei Paesi di lingua spagnola guadagna posizioni su posizioni); sull’altro versante, però, il programma culturale è sempre più curato, i luoghi deputati alla discussione sempre più centrali, l’obiettivo di fare di Francoforte la «capitale globale delle idee» sempre più sottolineato. Assume un ruolo strategico, in particolare, il cosiddetto Weltempfang, il forum su letteratura e politica che la Buchmesse organizza da tempo in collaborazione con il Ministero degli Esteri tedesco. Si parla di confini, in questi giorni, perché il 2015 è anche l’anno dell’Europa indecisa tra innalzare steccati e aprire le frontiere, della Germania che scopre l’accoglienza e dei Paesi che invece non ne vogliono sapere.Sono i temi affrontati nel corso della cerimonia inaugurale, mai come questa volta avara di notazioni sull’andamento del mercato del libro, a tutto vantaggio dell’elogio di virtù quali la tolleranza, la solidarietà, perfino lo spirito di carità. Senza dimenticare la forza dell’immaginazione, esaltata dal poeta indonesiano Goenawan Mohamad nel suo intervento davanti alle autorità. Classe 1941 perseguitato in passato dal regime di Suharto, Mohamad ha ripreso l’apologo del cantore che, condannato a essere bruciato vivo dal sultano, passa indenne attraverso le fiamme e trova rifugio in una foresta impenetrabile. «I suoi versi non ci sono stati tramandati – ha osservato – ma sappiamo che avevano il potere di trasformare la realtà». Che l’incantesimo si ripeta ancora è, in fondo, la scommessa di questa Buchmesse.