Agorà

Letteratura. I giochi di specchi di Giorgio Manganelli

Alessandro Zaccuri giovedì 12 gennaio 2023

Giorgio Manganelli (1922-1900)

Fosse un altro autore, lo scarto tra ricorrenza e celebrazione potrebbe essere preso per uno sgarbo. Nel caso di Giorgio Manganelli, invece, il disallineamento temporale fa da omaggio, perché Manganelli fu il persuaso teorizzatore della «scommemorazione», paradossale concetto spesso ripreso dalle pubblicazioni uscite in occasione del centenario della nascita, avvenuta a Milano il 15 novembre 1922 (lo scrittore morì il 28 maggio 1990 a Roma, dove si era trasferito negli anni Cinquanta). La «scommemorazione», ovvero la commemorazione di un anniversario bizzarro fino all’inverosimiglianza, è lo spunto dal quale prendono le mosse sia il numero che la rivista Riga dedica a Manganelli riprendendo e ampliando l’analoga monografia del 2006 (Quodlibet, pagine 512, euro 26,00), sia il corposo Filologia fantastica. Ipotizzare, Manganelli (Argolibri, pagine 384, euro 22,00), nel quale l’italianista Andrea Cortellessa riunisce una parte consistente dei suoi studi sull’autore. Curatore insieme con Marco Belpoliti del volume di Riga, Cortellessa è il critico che con maggior continuità si è dedicato all’interpretazione di Manganelli. Impresa non facile, considerato che dal tardivo e fulminante esordio di Hilarotragoedia nel 1964 in poi lo scrittore aveva intrapreso un’azione di metodico depistaggio sulle proprie intenzioni. La stessa poetica della «letteratura come menzogna» non può essere intesa come rinuncia alla ricerca di una verità che affiora comunque, magari nella forma di intuizione poetica e di mistico capovolgimento: «La menzogna – annota Cortellessa – è un processo alchemico, un gioco di specchi, un’anamorfosi. Niente di simmetrico, frontale, univoco. Non dà per esito semplicemente il falso, bensì uno spazio davvero non giurisdizionale e “altro”, quello in cui il vero non ha alcun privilegio sul falso ». Siamo nel territorio del Barocco e la prosa del Seicento rappresenta un modello non effimero per le spericolate invenzioni linguistiche di Manganelli, che fu sempre molto a suo agio nel ruolo di “teppista” letterario. Anche a costo di correre qualche rischio, come quelli di cui la figlia dello scrittore, Lietta Manganelli, dà conto nel suo Giorgio Manganelli. Aspettando che l’inferno cominci a funzionare (La nave di Teseo, pagine 198, euro 18,00). Non è una biografia del “Manga” e nemmeno un’autobiografia di Lietta, che pure è coprotagonista di molti degli episodi rievocati. Spicca tra gli altri, fino ad assumere le caratteristiche di scena primaria, la descrizione del primo incontro tra padre e figlia a distanza di tempo. L’anno è di nuovo il 1964 e, in una mattina di luglio, la diciassettenne Lietta suona alla porta dell’appartamento del padre a Roma: «Scusi, lei è il professor Manganelli? Allora io sono sua figlia». Neppure il tempo di riprendersi dalla sorpresa ed ecco che un’altra scampanellata annuncia l’arrivo di un ospite misterioso, la cui identità sarà rivelata a Lietta dopo un’ora e mezza passata a nascondersi sul balcone. Si tratta di Carlo Emilio Gadda, precipitatosi da Manganelli perché sospetta che Hilarotragoedia sia una parodia della Cognizione del dolore… Embrione di un romanzo familiare già in parte anticipato dall’epistolario domestico Circolazione a più cuori (Aragno, 2008), il libro di Lietta Manganelli è ricchissimo di spunti che vanno molto al di là dell’aneddotica. Che non andrà comunque trascurata, considerata l’importanza che l’umorismo – o, meglio, il black humour – riveste nell’opera del Manga. La stessa insistenza sull’inferno, luogo centrale dell’immaginazione manganelliana, non è mai esente da una componente di macabro divertimento, che tuttavia non arriva a oscurare l’inquietudine metafisica da cui è attraversata l’intera prodizione dello scrittore. Nella ricostruzione di Lietta, Manganelli non è il portavoce di un ateismo beffardamente perseguito, ma il testimone di una ricerca spirituale costellata di contraddizioni anche laceranti, alla quale non sono estranei momenti di abbandono religioso. I segni di un cristianesimo radicalmente interiorizzato, del resto, emergono con evidenza dal non trascurabile corpus poetico di Manganelli, del quale nei mesi scorsi si sono avute diverse edizioni: la riproposta dell’ormai classica curatela di Daniele Piccini ( Poesie, Crocetti, pagine 372, euro 20), l’essenziale antologia Un uomo pieno di morte allestita da Antonio Bux (Graphe, pagine 64, euro 12) e l’ulteriore risistemazione della produzione in versi effettuata ancora da Lietta Manganelli in Di buio in buio (Aragno, pagine XVIII+318, euro 20). «Fa’ che più non cerchi, o mio Signore; / perché io so / che alcuni si salvano vivendo; / ma destini diversi / si spiegano soltanto col morire», si legge tra l’altro. Manganelli non è tutto qui, d’accordo. O forse, chissà, è proprio ed esclusivamente qui.