Agorà

New York. Addio a Richard Serra, maestro del minimalismo

Maurizio Cecchetti mercoledì 27 marzo 2024

Richard Serra (1938-2024)

È morto martedì scorso in America, nello Stato di New York, Richard Serra, uno dei maggiori artisti plastici contemporanei; aveva 85 anni e si è spento per una polmonite. La sua scultura era una sorta di ossimoro poetico: dimensioni monumentali, nel classico ferro arrugginito o acciaio, minimalista la forma e l’idea. Era una scultura da attraversare e vivere in movimento per così dire, come se dovessero catturare lo spazio o il cielo; forme che rendono la scultura di Serra poco adatta allo spazio chiuso museale, per il volume che incombe o spinge a procedere ma non dialoga fino in fondo come con lo spazio illimitato quale può essere quello naturale.

Se dicessimo, come si è spesso sentito quando la critica ha parlato delle sue case per giganti, che le sue sculture erano pensate e giocate per ambienti paesaggistici, urbani e architettonici site-specific, e che questo ha dato una carne diversa al Minimalismo, esprimeremmo il senso ultimo della sua opera.

Come molti artisti poi affermatisi nella scultura, anche Serra da giovane voleva fare il pittore. Diventando lo scultore che ha interpretato con un gigantismo per così dire barocco, la regola del rigore formale, Serra ci ha dato soprattutto in età matura quelli che possono sembrare veri monumenti megalitici ma con la precisa volontà di uscire da ogni principio euclideo, semmai con una latente vena pitagorica, come Equal, gli otto blocchi cubici sovrapposti a due a due comprati nel 2015 dal MoMA, che già aveva altre opere di Serra e dove nel 2007 egli aveva allestito una importante antologica. Nel deserto del Qatar Serra aveva installato Est-Ovest/Ovest-Est, 5 monoliti in sequenza distanziata alti diciassette metri e larghi 4 il cui effetto prospettico ha la malinconia di meridiane che gettano la loro ombra dentro un ambiente abitato dal silenzio. L’opera, che risale al 2008, era stata esposta al centro della navata Grand Palais a Parigi e l’effetto, come nella luce del deserto del Qatar, era quello di una membrana sottile, quasi smaterializzata.

E sempre Parigi era stata il centro di una grande installazione di due lastre curve gigantesche in Place della Concorde. È molto vicina l’inaugurazione della prossima Biennale di Venezia, e Serra nel 2001 fu insignito proprio del Leone d’oro, mentre in Laguna allestiva uno dei suoi giganteschi labirinti in ferro. Il rapporto con l’Italia è stato intenso, e due anni dopo essere stato premiato a Venezia, allestì a Napoli, in piazza del Plebiscito, una installazione con fogli d’acciaio, intitolata non didascalicamente Naples, che poi è finita nelle collezioni del Museo Guggenheim di Bilbao, dove nell’atrio principale Serra ha disposto un’altra scultura che ha richiesto oltre mille tonnellate d’acciaio.

Gigantismo? In un certo senso è innegabile, ma è vero che questa scultura monumentale ha all’origine una formazione dentro gli orizzonti dell’astrattismo: a Yale, nei primi anni Sessanta, Serra si formò col pittore Josef Albers e s’interessò alle interazioni cromatiche. E subito dopo visse alcuni anni fra Parigi e Roma, misurandosi con la Pop Art e soprattutto l’Arte Povera. Ma è al ritorno in America, a New York, che la sua svolta che si volge a un più preciso rigore formale e si apre alla sperimentazione di una scultura che risente del confronto con Robert Smithson e Robert Morris: forme che mentre riducono l’impatto emotivo con materiali più freddi, mettono in gioco forme archetipiche e la volontà di dare all’originario una piega poetica, una deformazione che fonde matematica, fisica e lirismo proiettandone, come costellazioni, la forma in uno spazio “aperto”.

Ma prima di culminare nel ferro e nell’acciaio vennero le sperimentazioni su altri materiali, gomma, colate di piombo che si distendevano affiancate sul pavimento della galleria di Leo Castelli, oppure sommando in una sola composizione solidi di legno, pietra, acciaio come nell’installazione del 1969 al MoMA, o ancora, ripetutamente esposta a Londra, Parigi, New York, la serie Prop, grandi lastre e tubolari in metallo assemblati in composizioni dagli equilibri in apparenza precari. Grande effetto fecero negli anni Settanta i suoi disegni a pastello e carboncino che riprendevano le forme monolitiche praticate nella scultura.

Alla fine prevale la ricerca di un rapporto fra opera e ambiente che renderà sempre più grandi le forme plastiche con archi e architetture variabili a seconda del contesto. Questa progressive crescita delle dimensioni mirano, con un intenzione barocca, che peraltro non deve essere intesa come contraddittoria rispetto alla volontà concettuale, a far vivere allo spettatore una esperienza, come affermava lo stesso Serra. D’altra parte, a Parigi aveva frequentato due opposti per così dire, della scultura: Brancusi e Giacometti. E forse si può vedere nella continua ibridazione di valori poetici il linguaggio della scultura serriana che oscilla fra emozione e rigore.