Maratona di New York, l’ultima sfida del grande Kipchoge
Per la prima volta oggi in gara ci sarà anche il leggendario keniano, che nella Grande Mela potrebbe chiudere la sua straordinaria carriera. «La fede, un grande aiuto»

«Giungla di cemento, dove i sogni si realizzano» - Concrete jungle where dreams are made of - così cantava Alicia Keys nel 2009 e così sarà per i quasi cinquantamila runner che quest’oggi (ore 14.30, diretta tv RaiSport) attraverseranno New York, dalla quiete di Staten Island fino al boato di Central Park. In mezzo, cinque quartieri, quarantadue chilometri e una città che non smette mai di mettere alla prova - e di premiare - chi osa sognare.
All’appello, ai nastri di partenza della cinquantaquattresima edizione della più iconica maratona al mondo, ci sarà a grande sorpresa colui che è considerato il più grande maratoneta di tutti i tempi: Eliud Kipchoge.
Dopo le fatiche della maratona di Sidney di fine agosto, entrata quest’anno per la prima volta nel circuito delle grandi maratone (Awmm) e aver corso ad aprile a Londra sempre quarantadue chilometri, l’annuncio della sua partecipazione ha colto di sorpresa tutti gli addetti ai lavori che di certo non si aspettavano di vederlo di nuovo in strada, per di più su un percorso collinare e imprevedibile come quello della grande mela.
Se generalmente un atleta élite nel pieno della sua forma fisica corre una, al massimo due maratone nell’arco di un anno, vederlo correre una terza volta può far pensare che questa, per lui, possa essere la sua ultima corsa da professionista. Al quarantenne keniano, in effetti, per chiudere il cerchio e aver così corso tutte le sette maratone del circuito Major manca proprio New York.
Per Kipchoge, abituato all’efficienza millimetrica di Berlino, dove stabilì nel 2018 l’ormai ex record del mondo, oppure il percorso preparato ad hoc a Vienna dove mise alla prova sé stesso abbattendo per la prima volta nella storia della maratona il “muro” delle due ore, quello newyorchese sarà decisamente un terreno diverso. Ma proprio qui, dove la regolarità e la prevedibilità lasciano spazio all’imprevisto, la sua natura calma e serena potrebbero diventare un vantaggio. New York non premia solo la forza fisica: premia la mente, il carattere, la capacità di restare calmi anche nei momenti più complicati.
Sempre composto ed elegante, sorridente anche nei momenti più difficili, dietro al campione si nasconde ancora oggi un uomo rimasto fortemente legato alla sua terra.
Cresciuto nel piccolo villaggio di Kapsisiywa, a oltre trecento chilometri di distanza dalla capitale Nairobi, circondata da montagne e verdi colline, Eliud è il quarto e ultimo figlio di Janet Rotich. Da bambino, Kipchoge non avrebbe mai potuto prevedere il successo che lo attendeva, ma correndo per sei chilometri ogni giorno per andare a scuola, stava affinando inconsciamente il suo enorme talento. La corsa e l’esercizio fisico erano chiaramente parte integrante del suo stile di vita e della sua infanzia, una routine quotidiana per i meno fortunati, con un accesso limitato ai mezzi di trasporto e ai negozi locali. La madre - il padre scomparve prematuramente quando Eliud era ancora molto piccolo -, insegnante di scuola primaria, è una donna profondamente religiosa: ogni mattina, prima di iniziare la giornata, si raccoglie in preghiera, un gesto che Eliud ha visto e assorbito da che ne ha memoria. Questo gesto quotidiano è rimasto inciso nel carattere del figlio: «Mi ha insegnato che la disciplina è una forma di rispetto verso sé stessi, verso gli altri e verso Dio», ha raccontato Kipchoge in più di un’intervista. Nella sua famiglia, la fede cattolica ha radici ben più profonde di un semplice gesto o di una preghiera: uno dei suoi cugini, padre Kipchumba è cappellano della St. Joseph’s Chepterit Girls School, come riporta l’agenzia di stampa Aciafrica. Per questo motivo la spiritualità, per lui, non è una dottrina da sbandierare, ma un modo di vivere, fatto di equilibrio, di gratitudine e di attenzione per gli altri. «Come cristiano, credo che tutto ciò che riesco a realizzare debba essere trasmesso ai miei figli e a chi mi supporta ogni giorno», spiega. «La religione gioca un ruolo molto importante nella mia vita. Mi impedisce di fare cose che potrebbero allontanarmi dai miei obiettivi».
Obiettivi che il giovane Eliud ha incominciato a perseguire dal diciassettesimo anno di età, quando la corsa si trasformò da necessità a passione. Ebbe la fortuna di conoscere Patrick Sang, ex mezzofondista e medaglia d’argento ai Mondiali di Tokyo del 1991, che divenne il suo mentore e guida. Si trasferì al centro di allenamento di Kaptagat, nella vicina Eldoret, dove la vita semplice, quasi monastica, era interamente dedicata alla corsa, alla mente e alla comunità. Ancora oggi, Kipchoge ama preparare lì le sue gare proprio come faceva da ragazzino, ripercorrendo con la memoria tutti quei momenti che lo hanno plasmato e lo hanno portato a diventare l’atleta che è oggi. Il debutto, su pista, ai mondiali di Parigi nel 2003 è folgorante: vince il titolo mondiale sui 5.000 – all’età di 18 anni – battendo due giganti del mezzofondo africano: Hicham El Guerrouj e Kenenisa Bekele. Sulla stessa distanza, nelle successive due edizioni dei giochi olimpici conquisterà un bronzo ed un argento, prima di completare il passaggio definitivo alle gare su strada nel 2013.
L’esordio a Berlino segna l’inizio della seconda carriera sportiva di Eliud, e sbirciando il palmarés, anche quella più ricca di soddisfazioni. Dopo il secondo posto alla sua prima esperienza berlinese, mette d’accordo tutti e comincia a collezionare una vittoria dietro l’altra, che lo proiettano nell’olimpo dei più grandi atleti della gara più lunga dell’atletica leggera. Saranno undici le vittorie nel circuito Major tra il 2013 e il 2023: in mezzo, le vittorie olimpiche a Rio nel 2016 e Tokyo 2021, ciliegine sulla torta di una carriera senza eguali. Se oggi saranno i suoi ultimi 42,195 chilometri lo sapremo solo a fine gara. Nel frattempo, sarà meglio non pensarci troppo e goderci il campione che ha riscritto la storia della maratona.
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