Tamayo: «Con il Q-pop dono nuova vita ai quechua»

Il musicista si Ispira al sudcoreano K-pop: «Vorrei che sentendomi cantare nella mia lingua madre ognuno si chiedesse: “E io da dove provengo?”»
November 1, 2025
Il musicista peruviano Lenin Tamayo, figlio d’arte di Yolanda Pinares
Solo chi ha le radici ben piantate nella terra può arrivare fino in cielo. E il percorso musicale di Lenin Tamayo, artista andino contemporaneo, sembra andare proprio in quella direzione. Anni 25 e look audace Tamayo è il fondatore del Q-pop, il quechua pop. Peruviano di Lima e di origine quechua, appunto, ha adottato la lingua della civiltà inca per fare la sua musica, che per ritmo ed estetica, si ispira al genere più popolare dall’altra parte del mondo: il K-pop sudcoreano. In Perù una persona su dieci parla quechua e, anche se è la lingua autoctona più diffusa insieme all’aymara, l’Unesco la considera a rischio di estinzione. Il Q-pop nasce così come arte e insieme atto di resistenza: restituisce dignità a un patrimonio linguistico minacciato, rendendolo vivo nel contesto della musica internazionale. Che il genere sudcoreano sia entrato nella vita del cantante andino, fondendosi alla sua identità fino a diventarne mezzo di espressione, non è frutto di una strategia discografica, ma di un incontro casuale e di un periodo di sofferenza. Tutto è cominciato al liceo, quando Tamayo ha conosciuto il bullismo e il razzismo. «Il mio vecchio gruppo di amici mi prendeva in giro per i miei tratti andini e per l'accento marcato», racconta oggi con disinvoltura. «In Perù, più somigli agli andini, più vieni percepito come inferiore. È una forma di razzismo latente, ma radicata nel linguaggio, nei gesti, nel modo in cui ci si guarda». Da quel dolore è nato il bisogno di esprimersi e l’incontro con un nuovo gruppo a scuola appassionato di K-pop gli ha fornito il mezzo. Il successo è arrivato di conseguenza: prima su TikTok, dove ha superato i quattro milioni di “mi piace”, poi con il primo album Amaru (2023) e infine con un tour asiatico nel 2024 sold out in Corea, India, Thailandia e Vietnam.
La musica non poteva che avere un ruolo chiave nella sua vita: sua madre è Yolanda Pinares, cantante andina originaria di Cuzco, molto nota in Perù. Come ha influenzato il suo progetto?
«Sono cresciuto con la sua musica e profondamente a contatto con la sua cultura e la sua arte. È a lei che devo la conoscenza della lingua quechua, che è molto diffusa nel sud del Paese, mentre a Lima si parla poco. La libertà con cui crea la sua musica è fonte di ispirazione per me. Non si è mai imposta di fare “musica andina”: è solo sé stessa e la sua identità si riflette naturalmente nella sua arte».
Anche per lei è stato così?
«Sì. Cercavo un modo per esprimermi e dimostrare, allo stesso tempo, che non serve somigliare a un idolo del K-pop per fare la musica che amavo. Così è nato il Q-pop, è come se avessi creato un’etichetta, come quando metti un hashtag a un video sui social per farlo diventare virale. Ma in effetti cerco solo di essere me stesso, come mia madre mi ha insegnato. Sono andino, fiero dei miei lineamenti, della mia lingua e della mia cultura. E faccio pop: inevitabilmente tutti questi elementi si ritrovano nella mia musica».
Il messaggio che vuole diffondere con il Q-pop è: “Amore per unire i popoli e libertà di essere sé stessi”. Cosa intende?
«Io canto in quechua, è vero, ma con la mia musica vorrei raggiungere tutti i popoli del mondo. Vorrei chiunque mi senta cantare nella mia lingua iniziasse a chiedersi: “E io da dove vengo?”. Il termine “indigeno” nel mio Paese ha una connotazione negativa, ma anche la romanticizzazione occidentale rafforza lo stigma, riducendoci al cliché del peruviano del Machu Picchu. Niente di più distante dalla varietà, dalla mescolanza e dalla ricchezza che caratterizzano la mia terra».
Il Perù ha vissuto di recente grandi mobilitazioni (a fine settembre la GenerazioneZ del Paese ha iniziato a protestare contro la riforma delle pensioni ma il movimento si è rapidamente trasformato in una contestazione generale contro il governo ritenuto incapace di arginare la precarietà democratica, la criminalità e la corruzione. Il 10 ottobre il Congresso ha destituito la presidente Dina Boluarte). Si sente parte di quella voce collettiva?
«Sì e mi ha colpito che molti si chiedessero come mai continuassimo a manifestare anche dopo la caduta di Boluarte. Le nuove generazioni, in tutto il mondo, non si stanno mobilitando solo contro un presidente o un partito: lo fanno per affermare i propri valori, credono nell’atto civico della protesta. È un cambiamento importante: sono i nostri ideali a trascinarci nelle piazze del mondo, non solo i periodi di crisi politica».
Time l’ha premiato come Next Generation Leader, Forbes inserendolo tra i 30 Under 30. E ora ha firmato con Hybe, la casa discografica dei BTS, il gruppo più famoso in Corea: è un passaggio importante.
«Sì, decisamente. Entrare nel sistema globale mi permette di difendere il mio messaggio dall’interno, di non essere divorato dal mercato. Voglio controllare il mio progetto. Per questo ho anche brevettato il termine Q-pop, non voglio che diventi una moda commerciale senza significato. Dietro il Q-Pop ci sono valori: identità, rispetto, consapevolezza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Temi