Mattia Bidoli, il mago che ripara le ferite interiori della guerra

Operatore umanitario, fotografo e prestigiatore, da 15 anni porta la sua arte in ospedali, campi profughi e zone di conflitto. Dopo Siria e Ucraina, oggi è a Gaza: «Porto lo stupore dove non c'è p
July 13, 2025
Mattia Bidoli, il mago che ripara le ferite interiori della guerra
Web |
Il Campionato mondiale della Magia Fism 2025 a Torino non è solo spettacolo e performance, ma un evento che guarda al sociale e all’inclusione, un momento che genera valore sociale, educativo e culturale per la comunità. Lo fa con progetti speciali come “100 maghi per 100 ospedali”, in collaborazione con l’Azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, portando spettacoli e sorrisi nei reparti pediatrici e regalando attimi di magia ai piccoli pazienti, lo fa con laboratori didattici per scuole e famiglie, promuovendo l’apprendimento creativo e l’immaginazione, ma anche con i suoi grandi ospiti internazionali. Tra questi Mattia Bidoli, operatore umanitario, fotografo e prestigiatore, che da oltre quindici anni porta la sua arte in ospedali, carceri, campi profughi e zone di conflitto, utilizzando magia e la fotografia come strumenti di relazione, cura e resistenza. Ha lavorato in Siria, Iraq, Ucraina, Libano e Palestina, collaborando con organizzazioni umanitarie internazionali. Ora lavora a Gaza da più di un anno, dove coordina attività di supporto psicosociale rivolte a bambini, famiglie e operatori sanitari. Tra le macerie, crea spazi sicuri in cui tornare a ridere, immaginare, sentirsi vivi. Porta spettacoli di magia, laboratori creativi e interventi artistici in scuole, ospedali e campi profughi, ma soprattutto, come dice lui stesso, lavora «per ricordare che anche nei luoghi più colpiti, la bellezza può ancora farsi strada».
Dal Fism di Torino ai campi profughi in Libano, la magia sembra parlare una lingua che supera le barriere culturali, linguistiche, ideologiche.
Quando ha capito che l’arte illusionistica poteva diventare uno strumento umanitario?
«Quando ho iniziato non c’era un manuale. Ho cominciato a 18 anni facendo il clown negli ospedali, poi sono partito per la Bielorussia, e successivamente in diverse zone di conflitto. Lì ho capito che si poteva fare qualcosa in più per aiutare. Credo la mia si possa definire magia umanitaria».
In cosa consiste?
«Consiste nel portare la magia in luoghi complessi. La magia è un’arte che non conosce barriere culturali o linguistiche, che non è interpretabile, è così come si vede per tutti, è libera, comprensibile a chiunque. Portare la magia in zone difficili significa portare lo stupore in posti che ne sono privati. Certo, portiamo anche medicine, cibo, acqua, beni essenziali, ma l’essere umano è molto più complesso di così: non ha bisogno solo di vestiti e medicine, ha bisogno di stare bene, di empatia. Mi sono chiesto a volte che senso avesse, ma una volta in un ospedale in Ucraina, mentre bombardavano, un operatore sanitario mi disse: “Grazie, perché senza la tua magia tutto quello che facciamo qua sarebbe inutile, perché un cuore che batte ha senso se può ancora emozionarsi”».
Come sono costruiti i suoi spettacoli?
«A Torino porterò il mio spettacolo di magia di strada, che è lo stesso che porto in zone di guerra, tra Gaza e Ucraina; è fatto con cose raccolte in zone di guerra, come per esempio bossoli di artiglieria, tazze, oggetti quotidiani. A volte viaggio leggero, e mi piace usare oggetti che le persone possano riconoscere o identificare. In passato ho spiegato ai bambini l’importanza di non raccogliere oggetti da terra perché minati tramite la magia. Quindi c’è sempre anche un intento educativo».
Anche a Torino terrà delle lezioni.
«Sì, farò un evento all’ospedale Regina Margherita con i bambini oncologici e poi farò una masterclass ai maghi su cos’è la magia umanitaria, su come adattarsi al contesto culturale, su come contattare le associazioni».
Lei ha lavorato in zone di guerra, in campi profughi, in reparti ospedalieri pediatrici. In che modo una magia – anche semplice – può fare la differenza in quei luoghi? Cosa accade, nel concreto, quando si crea quel momento di “sospensione del dolore” attraverso un trucco?
«Mi faccio spesso questa domanda. La magia non è un’arte tecnica, non è un coniglio che esce dal cappello, ma è il tempo in cui stai con loro e fai qualcosa di speciale. Le persone in quel momento si dimenticano dove si trovano, si dimenticano per un attimo del dolore, e si trasforma l’ambiente, si piega il tempo e lo spazio».
Dopo Torino dove porterà la sua magia?
«Fino a fine luglio tornerò a Gaza. Ho cominciato a lavorare lì ad aprile dell’anno scorso, sono uscito una settimana fa. È un inferno, non ci sono altri posti così, è completamente circondata dal mare e dall’esercito. Servono molte cose, per stare ad aiutare bisogna essere formati. La magia è un pezzetto di tutto questo. Dopo Gaza vorrei tornare di nuovo in Ucraina. Vorrei continuare a lavorare in Ucraina fino al giorno della liberazione, o della capitolazione. Ma sono a disposizione del mondo, dell’universo, della vita. Sono sempre ricettivo. Non so dove sarò, ma spero di portare ancora magia».
Lei è anche fotografo. Come si intrecciano queste due forme d’arte nel suo lavoro? La fotografia può restituire memoria, mentre magia spesso è fatta per sparire. In che modo convivono dentro di lei queste due forze opposte?
«La fotografia per me è testimonianza. Nel mio zaino ho sempre un kit medico, i giochi di magia e la macchina fotografica. Penso che andare in questi luoghi sia un onore, e la fotografia mi aiuta ad esserne testimone. Documentare inoltre è fondamentale affinché le ong possano continuare ad aiutare. Non penso siano forze opposte però, credo che la fotografia sia simile alla magia, perché i entrambi i casi puoi mostrare qualcosa senza bisogno di parlare, e tutti capiscono cosa stai comunicando».

© RIPRODUZIONE RISERVATA