"Lo Scuru", viaggio nella mente tra buio e sacro
In concorso al Tertio Millennio Film Festival il film d’esordio di Giuseppe William Lombardo indaga la follia in una Sicilia evocativa dal romanzo di Labbate

Un viaggio tra realtà e soprannaturale, tra sacro e follia. Ma anche un thriller intimo, che cerca la verità nascosta dentro l’animo umano. Lo Scuru, sorprendente opera prima di Giuseppe William Lombardo, arriva oggi nelle sale e in concorso al Tertio Millennio Film Festival di Roma — la rassegna promossa da Fondazione Ente dello Spettacolo sino al 9 novembre che interroga il senso del sacro nel cinema contemporaneo.
Girato in un bianco e nero denso e contrastato, che richiama apertamente le fotografie di Ferdinando Scianna, il film si muove nei paesaggi brulli e ipnotici della Sicilia, che qui diventa “una terra di anime, sospesa tra sole e oscurità”.
«Il bianco e nero è la luce del lutto» spiega Lombardo ad Avvenire. «Siamo una terra solare ma attraversata da dolori profondi. Viviamo di contraddizioni, come i personaggi di Pirandello o Bufalino: portiamo dentro la sofferenza, ma cerchiamo sempre una speranza.»
Una contraddizione che si riflette in Raz, il giovane protagonista interpretato con intensità da un attore di razza come Fabrizio Falco, che torna nel suo paese natale per affrontare il proprio male interiore. Diagnosticato come schizofrenico, Raz sente che la radice del suo dolore affonda nei ricordi dell’infanzia, in antichi riti familiari e superstizioni mai sopite. «Il film indaga quel luogo misterioso dello spirito dove si scontrano credo e ragione, scienza e superstizione» racconta il regista. «Ciò che la medicina chiama destino ineluttabile trova nella magia atavica un appiglio e una speranza».
Accanto a Raz si muovono figure altrettanto enigmatiche: una madre malata, un padre putativo ambiguo e dolente (interpretato da Fabrizio Ferracane), un prete esorcista (Vincenzo Perrotta) sospeso tra fede e superstizione. E poi una giovane africana, Daniela Scattolin, sopravvissuta a un naufragio, che lo accompagna nella discesa nei propri abissi interiori. La ragazza gli rivela il legame tra antichi riti siciliani e le pratiche “juju” con cui vengono tenute in schiavitù tante donne vittime della tratta. «Uno dei messaggi più belli di Papa Francesco è quello dell’accoglienza,» ricorda Lombardo che nel film riesce a intrecciare in modo pertinente il tema del commercio di vite umane.
«Nel romanzo originale questo tema era solo accennato» spiega Lombardo. «Con lo sceneggiatore Pietro Seghetti abbiamo voluto ampliarlo, perché anche quelle superstizioni, africane e mediterranee, parlano dello stesso Male. Sono forme diverse dello stesso dolore umano. E lasciano strascichi psicologici devastanti in quelle ragazze, che ho conosciuto, costrette a prostituirsi per la paura che i demoni uccidano i loro familiari»
Liberamente tratto dal romanzo Lo Scuru di Orazio Labbate, il film, e prodotto da Gray Ladder, ne conserva le atmosfere gotiche ma le piega a una dimensione personale. «Lessi il libro nel 2013, in un momento difficile della mia vita,» confida Lombardo. «Avevo da poco terminato il liceo, stavo affrontando attacchi di panico e disturbi ossessivi. In quelle pagine trovai la mia stessa inquietudine. Mi promisi che, se fossi diventato regista, avrei fatto de Lo Scuru il mio primo film».
Girato tra Butera e Gela, il film affonda le radici nei miti antichi della sua terra. «In quelle zone si svolge il ratto di Proserpina, un mito pieno di ombre e rinascite,» racconta. «Sono luoghi mistici, colmi di templi e leggende. Da siciliano volevo ribaltare la narrazione: Gela non è solo mafia, ma memoria, spiritualità, resistenza».
La Sicilia, nel film, diventa così il riflesso dell’anima del protagonista: desolata, misteriosa, eppure capace di accogliere la luce. «La domanda che pongo è semplice e abissale: cos’è davvero l’oscuro? È il male, è la follia, o entrambe le cose?» si chiede Lombardo. «Schizofrenia, depressione, malocchio: sono solo nomi. La verità è come affrontiamo il dolore, se riusciamo a guardarci allo specchio senza fuggire».
In una scena chiave, il padre putativo chiede a Raz: «Se bruci l’oggetto del malocchio e non succede niente, saresti in grado di guardarti nello specchio?». È una delle tante domande senza risposta che il film dissemina, in un continuo gioco tra fede e psiche, tra realtà e visioni. Il regista non offre soluzioni, ma apre spazi di riflessione. «Non pretendo di dare risposte» precisa. «Il mio è un film noir e spirituale, un viaggio nel mistero dell’uomo».
Sullo sfondo, la processione del “Signore dei Puci”, una statua della Passione portata dai fedeli durante la Settimana Santa, diventa simbolo di un combattimento metafisico tra male e redenzione. «Sono cresciuto nella cultura cattolica, ma ho imparato a credere in modo personale» afferma Lombardo. «Dio ci ha dato la libertà di scegliere, e spesso la scelta migliore è la più difficile. Anche Cristo, facendosi uomo, ha avuto dubbi, ma ha scelto comunque di sacrificarsi per amore dell’umanità». I personaggi del film sono vittime e colpevoli al tempo stesso. «La cultura cattolica ci insegna di espiare una colpa, ma anche di sapere perdonare e di fare i conti con la colpa. C’è sempre possibilità d redenzione».
Il finale resta aperto, sospeso come il confine tra follia e fede. Ma una luce filtra nel volto del protagonista, come una promessa di pace possibile. «Il dolore non si elimina» conclude il regista, «ma si può imparare a conviverci, a trasformarlo in consapevolezza. È lì che nasce la speranza».
Lo Scuru, nel suo gotico lirico e profondamente umano, parla del male e del mistero, ma anche della possibilità di liberazione. «La Sicilia è terra di sincretismo, di incontri, di contraddizioni feconde. È la nostra oscurità che ci insegna a cercare la luce».
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