Il sogno di Peter Gabriel profeta del rock

Il 75enne musicista britannico raccontato in un libro dal giornalista Marco Tesei: «Visse il successo con i Genesis come se fosse la corruzione di un ideale percorso artistico. Così li lasciò»
August 20, 2025
Il sogno di Peter Gabriel profeta del rock
Ansa | Il settantacinquenne musicista, compositore e produttore britannico Peter Gabriel
Dopo il libro Mick Jagger. Il ribelle, nel 2023, per i suoi 80 anni, Marco Tesei firma ora Peter Gabriel. L’arcangelo del rock (ancora per i tipi di Zona Music Book, euro 16.00), 75 anni lo scorso febbraio. Stesse radici culturalmusicali nella swingin London e stesso amore per l’Italia (uno per la Sicilia, l’altro per la Sardegna dove ad Arzachena è cittadino onorario dal 2003) per due differenti anime britanniche del rock, un “angelo” ribelle e un “arcangelo”, giocando sul suo nome di battesimo. Ed è proprio dallo stesso brodo di coltura che Tesei (ex giornalista Rai e oggi anche autore teatrale) ha voluto quasi per antitesi pescare due personaggi così diversamente orientati.
Se Jagger ha infatti impostato tutto su fama e successo (con annesse devianze), Gabriel non ha mai tenuto in primis e ad ogni costo al danaro e a diventare un idolo. Quando si separò dai Genesis disse: «Si sta corrompendo qualcosa con tutto questo successo». Per lui il percorso è stato più importante della meta finale. «Mi piace pensare alla musica come a qualcosa di vivo e in continua evoluzione, che permette così ai musicisti di vendere un processo in corso piuttosto che un prodotto», è la frase che Tesei riporta nel capitolo conclusivo. Per poi sottolineare il seguente pensiero: «C’è sempre stato un forte legame tra musica e religione. È perché entrambe si collegano direttamente al cuore e possono avere un vero potere nel bene e nel male».
Figlio dell’alta borghesia londinese (un antenato fu sindaco di Londra), Peter Gabriel frequentò la prestigiosa scuola privata Charterhouse dove incontrò altri timidi creativi come lui: Tony Banks, che suonava le tastiere nei Garden Wells, Michael Rutherford, che suonava il basso, e Anthony Phillips, chitarrista del gruppo The Anon. Così nacque nel 1966, dalla fusione dei due complessi musicali, il primitivo gruppo dei Genesis, poi completato nella più celebre formazione da Steve Hackett e Phil Collins, che dopo l’abbandono di Gabriel nel 1975 divenne il frontman. Quel traumatico “ragazzi, io me ne vado” risultò al momento incomprensibile.
Uno strappo che porta però Gabriel sulla sua strada da solista, dopo due anni di silenzio dedicati anche alla famiglia e alla nascita della sua prima figlia, Anna. Inizia così la parabola personale di compositore, performer, concertista al cui fianco chiamerà di volta in volta diversi compagni di viaggio, da Robert Fripp a Brian Eno, da Kate Bush a Laurie Anderson. «Queste sue svariate collaborazioni artistiche sono la cartina di tornasole della sua filosofia di vita: se ci conosciamo non ci sarà mai la guerra» spiega Tesei. Ecco la sua matrice, che lo porta anche a dare vita a iniziative a favore della world music come il festival Womad (World of Music, Arts and Dance) e come i Real World Studios e l’etichetta discografica affine Real World Records.
Per questo Tesei subito nelle premessa riporta un paio di frasi manifesto della sua attitudine artistica e sociale riscontrabile anche nella straordinaria mescolanza di suoni e colori. «Credo ci si debba prendere cura dei deboli, dei giovani e delle minoranze, perché sono ambienti creativi sani, pieni di scelte, di stili musicali diversi e di novità da cui ciascuno trae energia» e «Le persone hanno la forza di superare il proprio corpo. La loro bellezza è nelle loro menti». E qui affonda questa sorta di sonorità cosmica inseguita da Gabriel, andando a pescare in tutto il mondo artisti tipici, tradizionali e particolari con le loro peculiarità. Sia producendoli direttamente sia mettendoli nei suoi dischi.
«In Gabriel c’è così anche tanta sperimentazione musicale - spiega Tesei -. E poi quando si accorge che le tecnologie stanno arrivando sempre più prepotentemente le cavalca non diventandone succube. Un utilizzo virtuoso dell’elettronica, che domina e non subisce, rimanendo legato, per così dire, a un certo suono di tradizione». Da artista a tutto tondo, inventore delle performance teatrali e narrative sul palcoscenico con i suoi travestimenti e le maschere, inizialmente per riempire i vuoti tra un brano e l’altro. «Gabriel avrebbe benissimo potuto fare cinema anche come attore - osserva Tesei -, mentre l’ha invece frequentato da musicista realizzando colonne sonore importanti, a partire da L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese. Ma tutto il percorso di Gabriel affonda in sostanza le radici in quello che è stato il punto di partenza, il rock progressivo. Quella commistione di classica, jazz e musica colta in generale che portava ad avere l’ambizione non di creare l’ultima canzone, ma la canzone ultima».

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