Delta V, le regole contro l'ostilità
Con “In fatti ostili”, 7° album di inediti, la band milanese si racconta e festeggia i suoi 30 anni di attività. L’8 novembre, a Fontanafredda, parte il tour nei club

La prima regola dei Delta V, la band milanese fondata trent’anni fa da due compagni di Liceo (linguistico), Carlo Bertotti e Flavio Ferri, è fare canzoni per raccontare storie di vita vera dal Paese reale, come quelle raccolte nell’ultimo album, il settimo di inediti, In fatti ostili (Universal Music). Titolo, anche del tour - omonimo - parte l’8 novembre dall’Astro Club di Fontanafredda (Pordenone) - che già reclama uno stato permanente di appartenenza dalla parte dei giusti, di quelli che lottano, pacificamente con la sola forza delle idee. A dar voce e anima alle loro canzoni è Martina Albertini, alias la Marti, quarta vocalist del gruppo nato nel 1995 «e sarà anche l’ultima» sottolinea ridendo Bertotti che con Ferri hanno lavorato ai testi e le musiche di un disco che «è il racconto di cinque anni». Una produzione “postpandemica”, all’ascolto attento trattasi di un autentico manifesto di resistenza a tutti i mali. A cominciare dal disagio sociale quotidiano di chi vive, lotta, ma spesso subisce il peso della nuova metropoli descritta in Regole a Milano: cartolina agrodolce da recapitare ad ogni singolo cittadino della nuova dimensione vertiginosa e verticale. «Milano brucia e ancora non lo sa, credevi fosse America finita l’Università. A me lo yoga fa male. Esisto solo quando sto male, se devo lottare… Milano ti amo, ti odio davvero, il cielo di ottobre è un grigio sincero», canta Marti su sonorità che rimandano al meglio del repertorio dell’elettropop anni ’90. Immagini intense e una frenesia dirompente, inarrestabile, restituita a pieno nel videoclip diretto Lorenzo D’Orazio (prodotto da Ripley Group – Mitropa Film). Addio l’immagine romantica e nostalgica di Luci a San Siro di Roberto Vecchioni o delle guglie del Duomo di notte di Alberto Fortis. La Milano dei Delta V è «una città pagana, determinata, superba, esigente e poco incline al perdono, con un vicinato che è in competizione e non si aiuta più. Poca solidarietà in giro, a differenza di Barcellona dove ho vissuto o a Girona dove risiedo ora», attacca Flavio Ferri riannodando i pensieri e le riflessioni come fossero le sue trecce rasta.
(Carlo Bertotti)
«Nel disco raccontiamo proprio questa ostilità di una Milano che nella sua dieta prevede una quotidiana fame famelica. La musica ha una funzione sociale e dovrebbe riverberare il vissuto di una società. Ma per assurdo nella proposta della musica pop attuale questo riverbero è praticamente assente. Il mondo cambia velocemente, e in peggio, ma questo disallineamento non si ritrova nelle canzoni che ascoltiamo. Negli anni ‘70 il cantautorato è servito a denunciare ciò che accadeva e ciò che stava cambiando. La mia generazione non protesta quasi più, non si è accorta ad esempio che a Milano i locali storici della nostra giovinezza dove si faceva musica dal vivo sono spariti e non sono stati più sostituiti».
(Marti)
«Io che, sono più giovane di Carlo e Flavio, ho fatto in tempo a vedere locali come il Rolling Stone o le Scimmie sui Navigli, ma una volta chiusi quelli, assieme a tanti negozi di dischi e altri luoghi di incontro, è come se Milano avesse investito in tutto tranne che nel dare la possibilità alle nuove generazioni di fare musica. Eppure io non voglio abdicare. In quel nostro refrain, “Milano ti amo, ti odio davvero”, c’è l’odio verso ciò che di buono è stato cancellato per fare spazio a case dagli affitti insostenibili. Ma c’è anche l’amore di chi non si arrende e non pensa alla fuga ma a continuare a combattere in ciò che crede».
Combattere con una musica colta e d’autore che deve vedersela con la superficialità della scena rap e trap che produce in quantità industriale dalla capitale “amorale”.
(Flavio Ferri)
«La quantità domina indisturbata sulla qualità. In questa Milano multietnica puoi mangiare fino a morire e scegliere ogni tipo di menù, ma tutte le cose ormai hanno lo stesso sapore. In Italia in un solo giorno pubblicano tutta la musica che usciva in un anno alla fine degli anni ’80, quando ancora ascoltare un disco nuovo era un rito. Ci si riuniva nella cameretta dell’amico, si ascoltava in silenzio e poi se ne parlava, e quello era un momento di crescita e di condivisione importante. La chiusura dei centri sociali ha tolto la possibilità di scambiarsi idee che è il pane quotidiano di una società che invece di ascoltare le nostre voci ci vuole silenziare».
Un mondo popolato di Nazisti dell’Illinois e dove la disciplina della terra di Ivano Fossati è diventata La disciplina del nulla narrata dai Delta V.
(Carlo Bertotti)
«Quei nazisti dell’Illinois li abbiamo presi dai Blues Brothers di John Landis. Nei riferimenti cinematografici, che da cinefili facciamo nel disco, come Billy the Kid in Wendy o San Babila ore 20: un delitto inutile di Carlo Lizzani per San Babila ore 20 (25), facciamo una sorta di appello a difenderci da ogni forma di ostilità. Un film che è rimasto fuori dalle citazioni ma che incarna in pieno lo spirito di questo disco è La vita degli altri, ambientato in una Berlino Est dove siamo stati, sotto la neve, e che ci ha fatto avvertire l'urgenza di non cedere mai al male dilagante, specie quello della cattiva politica che ci vuole ignoranti e quindi perdenti. Un invito a non cedere al male dilagante della cattiva politica che ci vuole ignoranti e quindi perdenti. Sono figlio di un partigiano e ho conosciuto i figli di due partigiani ammazzati dai fascisti della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, quindi sono consapevole che l’allarme verso i nuovi fascismi non è mai cessato»..
(Flavio Ferri)
«Io penso che oggi tutto ciò che è minimamente intelligente è assolutamente anti-Trump. Anche se il Presidente americano è la punta dell’iceberg della prepotenza e dell’indifferenza generata da un sistema economico fallimentare come quello capitalistico. Le persone sono spaventate dal pensiero e dalla possibilità di avere delle idee coerenti. Il trumpismo è capace di pensare di vincere il Premio Nobel come se fosse una gara».
Perciò l’invito è a Essere migliori, un brano, tra i primi scritti in quel diario della pandemia in cui affiora la “presenza” di Dio.
(Marti)
«Fare musica oggi è una missione, una ricerca di senso nelle cose. Essere migliori è una delle canzoni che sento di più di questo disco perché è venuta fuori quando eravamo sprofondati nell’abisso. Dopo l’ennesimo bollettino quotidiano delle ore 18, che sembrava il giudizio universale, è scattata in tutti e tre la voglia di ricominciare a vivere, di credere nella possibilità che si poteva uscire da quella tragedia, anche grazie alla musica, che personalmente è un atto di fede, perché mi fa essere fedele a me stessa. Canto sempre ciò che sento senza scendere a compromessi affidando poi le canzoni a chi devono arrivare perché possa fare i conti con ciò che gli trasmettono».
Il coraggio delle proprie idee, senza paura, anche se il Panico, titolo di un brano profondamente intimistico, è sempre lì in agguato».
(Carlo Bertotti)
«Io e la Marti ci siamo conosciuti proprio mentre affrontavamo questo stato d’animo: il panico una volta che ti attraversa non ti molla più. Puoi solo imparare a conviverci e cercare quegli strumenti che ti fanno andare oltre, ma quando scopri quella fragilità è un marchio che resta…».
Marchiano la memoria di chi ascolta anche brani come Provincia meccanica e Laika e l’America che ci ricorda i miti di ieri: la cagnolina lanciata dai russi con lo Sputnik (che nella canzone non è mai morta nello spazio), come anche le cover dei grandi successi reinterpretati dai Delta V, ma che in questo album non figurano.
(Flavio Ferri)
«Le cover abbiamo cominciato a farle quando ancora non esistevano i talent e ci piaceva prendere un pezzo e ribaltarlo a modo nostro, come abbiamo fatto con Se telefonando cantata da Mina o Un estate fa di Franco Califano. Era piaciuta a Califano? Ahivoglia, un giorno Franco mi chiama e mi dice: “A Flà, quando vengo a Milano ti porto a fare il giro di tutti i night” – ricorda divertito - . Un grande Califano. Come Bruno Lauzi di cui abbiamo inciso Ritornerai. Un capolavoro, Lauzi è stato ingiustamente dimenticato, forse perché bollato politicamente in vita per non essere stato il classico cantautore genovese di sinistra alla Paoli e alla De Andrè, quindi non funzionale... Una delle poche cose che salvo dei social è che queste opinioni se trovi il giusto interlocutore puoi discuterle e ribatterle in Rete. Non dobbiamo mai smettere di cercare il dialogo e il confronto con il nostro vicino, perché l’altro, spesso, può essere vittima e colpevole allo stesso tempo e sta a noi provare a trovare la soluzione migliore per tutti».
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