martedì 17 ottobre 2023
Con “L’impostore” sperimenta anche il romanzo storico: al centro un processo di età vittoriana su cui si staglia l’ombra di Dickens. Oggi a Milano riceve il Sigillo della Città
Zadie Smith

Zadie Smith - Ben Bailey-Smith

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Chi dice la verità e chi è un impostore? Ruota attorno a questa domanda il ritorno alla narrativa di Zadie Smith. Non un ritorno come un altro, ma un ritorno che contiene il suo “esordio” nel genere romanzo storico, che secondo la scrittrice britannica non si limita al tempo cui fa riferimento, ma è utile per guardare agli eventi da angolazioni diverse. Gli eventi de L’impostore (Mondadori, pagine 492, euro 22,00) sono ambientati ad Hurstpierpoint, Sussex, nel 1873, e girano attorno al più celebre processo del tempo, “il caso Tichborne”, che per un decennio dividerà l’opinione pubblica vittoriana esplorando inganni e autoinganni della condizione umana a partire da eventi realmente accaduti.

Oggi Zadie Smith riceve il Sigillo della Città dal sindaco di Milano, assegnato per l’edizione del 2020 di Bookcity e mai consegnato a causa della pandemia. In questa occasione abbiamo avuto modo di dialogare con lei dell’importanza della storia, del significato di sfidare la tradizione per superarla, di letteratura e del significato del concetto di verità nel nostro tempo: «Scrivere è una frode – dice –, e la mia, in questo libro, è una riconfigurazione del passato. La cosa che mi interessava era contrapporre una nuova versione delle cose a quella a cui siamo abituati; il periodo vittoriano, dal mio punto di vista, è più interessante e radicale di come spesso viene rappresentato».

Rispetto ad altri lavori di Smith, il romanzo storico ha richiesto un lavoro consistente di studio che però, spiega, «non è mai stato noioso o difficile, anzi, è stato sempre sorprendente», tanto da permetterle di superare una forma di resistenza che aveva nei confronti del genere: «Il motivo per cui resistevo all’idea di scrivere un romanzo storico è per la sua reputazione di servire lo scopo della nostalgia, fornendo un ambito spesso comodo del passato, ma la storia non è comoda, è molto più sfidante ed eterogena, variegata, e via via che mi dedicavo alla scrittura del romanzo ero estasiata dalle analogie che emergevano con alcuni temi attuali».

Il tema della scrittura è fondamentale, soprattutto in rapporto a quello della verità. In rete si trovano alcuni consigli di scrittura di Zadie Smith, uno dei quali dice: “Strappa il velo di qualunque verità”, che commenta così in rapporto al suo ultimo libro: «Tutto quello che accade nel romanzo o quasi – spiega – è quasi del tutto vero. Sono reali i personaggi, i fatti, ma non so chiaramente quello che accadeva nelle conversazioni; la cosa che però mi interessa nella forma di verità narrativa fittizia, è il fatto di riuscire a strappare il velo delle interpretazioni errate a immaginari che fanno riferimento talvolta ad altra letteratura, talvolta al cinema. Spesso si tratta di un immaginario che non ha nulla a che vedere con quello che accadeva realmente, perciò si tratta di togliere queste concezioni errate sull’immaginario, comprese le mie, rappresentando realtà diverse, meno rappresentate».

Un altro aspetto della letteratura storica messo in evidenza da Smith è ciò che permette di realizzare con la scrittura: «È che come fosse una porta sul retro – dice – grazie alla quale si riesce a raggiungere un lettore o una lettrice in modo sempre sorprendente, perché se stiamo parlando nel presente, tutti hanno posizioni, un’opinione molto determinata e arroccata e se si usa la stessa lingua si rischia di restare incastrati, invece nel romanzo storico è come passare da una porta sul retro, è come circumnavigare i pensieri abituali facendoli sembrare pensieri nuovi; è un lavoro molto interessante per affrontare idee di oggi viste da un angolo obliquo».

Nel libro, per esempio, Eliza Touchet è da trent’anni la governante di suo cugino acquisito, William Ainsworth, un romanziere un tempo di grande successo ma ormai caduto in disgrazia e in crisi di ispirazione. Donna spiritualmente e intellettualmente libera, Eliza ha sempre partecipato ai circoli letterari di Ainsworth, crescendo all’ombra del successo di William e dei suoi amici letterati, tra cui Charles Dickens, che diventa uno spunto per parlare ancora di letteratura: «Nella Londra del diciannovesimo secolo Dickens è ovunque, appare in qualunque argomento. Era impossibile evitare di includerlo, anche se non era direttamente coinvolto nel processo, poiché era morto da poco. Quello che però mi interessava era far emergere il tratto del romanziere e le sue reazioni personali sulla realtà che lo circondava».

Uno dei personaggi fondamentali del libro è Andrew Bogle, testimone chiave del processo, cresciuto come schiavo nelle piantagioni di zucchero della Giamaica e servitore dei Tichborne per decenni. Bogle può confermare o smentire le affermazioni del Pretendente alla fortuna di una delle più antiche famiglie aristocratiche inglesi, ma soprattutto è una «fonte di ispirazione, un genio narrativo pur senza essere uno scrittore – dice Smith –, opaco nel rapporto con la verità. Per molto tempo ho avvertito la presenza dei personaggi di questo libro nella mia vita, per questo mi è spiaciuto terminarne la scrittura, perché è stata una continua sorpresa».

Un’ultima riflessione Smith la dedica all’attualità, citando un articolo di David Grossman in cui «chiarisce il concetto di gerarchia delle azioni e non proclama nessuno innocente; è una cosa di buon senso, è impossibile stabilire una gerarchia di orrori o crimini commessi. Leggendolo ho capito che mi piacerebbe avere classe politica che parli come lui e purtroppo non è questo il caso. Le sue parole sono come una forma di servizio pubblico».

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