martedì 10 dicembre 2019
Il direttore degli Uffizi Eike Schmidt presenta il Fondo edifici di culto, esito delle soppressioni postunitarie, che presiede: «Garantisce la fruibilità religiosa di luoghi storici ora dello Stato»
il chiostro maiolicato di Santa Chiara a Napoli

il chiostro maiolicato di Santa Chiara a Napoli

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Si chiama Fondo edifici di culto, è sconosciuto ai più ma ha un ruolo centrale nel sistema dei beni culturali italiani: all’organismo parte del ministero dell’Interno afferiscono 837 edifici sacri (spesso di primaria importanza) aperti al culto su quasi tutto il territorio nazionale e in concessione a enti ecclesiastici. È un caso tutto italiano, solo parzialmente accostabile alla Francia, dove la questione è regolata dalla legge di separazione tra Stato e Chiese del 1905. Un patrimonio immenso che discende dalle soppressioni postunitarie e che comprende oltre alle chiese anche le opere d’arte all’interno. Proprio una selezione di queste ultime è al centro del calendario 2020 del Fec “Tessuti d’arte”, che viene presentato questa mattina nel Salone delle conferenze del Viminale, con gli interventi del cardinale Gianfranco Ravasi e di Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, da ottobre presidente per un quadriennio del cda del Fondo edifici di culto.

Professor Schimdt, che scopo ha il Fec?

La sua funzione, legata a materia concordataria, è rendere gratuitamente fruibili le chiese per i fedeli, le comunità religiose e gli enti ecclesiastici che le hanno in concessione. L’Italia è uno stato laico, ma nella sua storia la fede cattolica ha un ruolo particolare ed è quindi giusto che la collettività si impegni a rendere accessibili questi beni: non per scopi museali, che esistono ma sono accessori, ma soprattutto per il culto. Pertanto il mantenimento di questi edifici è responsabilità della Repubblica italiana.

Questi beni non dovrebbero essere gestiti dal Mibact?

Tutti gli interventi di restauro sono gestiti dal Mibact attraverso le sovrintendenze, come è giusto. Il fatto però che appartengano al Fondo edifici di culto risponde proprio alla funzionalità particolare di questi luoghi, che da un canto sono beni artistici e architettonici a pieno effetto e quindi sottoposti a tutti i vincoli, ma dall’altro non hanno finalità laica. Le opere che sono in gestione del demanio e delle sovrintendenze possono variare la loro destinazione con una certa facilità, mentre nel Fec questa operazione ha bisogno di una approvazione particolare. Se in un luogo di culto viene meno la presenza della comunità religiosa e cade l’interesse per la celebrazione della messa, l’eventualità di una riconversione d’uso è oggetto di una riunione del cda del fondo, che può e deve dare prescrizioni precise per evitare abusi o equivoci.

Il bilancio del Fec è di 18 milioni circa annui. Sembrano pochi…

Non sembrano: sono pochissimi. Nemmeno il doppio basterebbe. Non solo uno stanziamento superiore sarebbe augurabile, ma in alcuni casi è una necessità fortissima. Dagli anni Ottanta in poi i fondi destinati sono andati in calo costante. Questa flessione rende la gestione insostenibile. Nel 2017 un pezzo di cornicione si è staccato nella basilica di Santa Croce, a Firenze, uccidendo un uomo. Non si può saltare manutenzione ordinaria e straordinaria. Per tenere aperte le chiese e per la tutela delle opere con impianti di allarme e in alcuni casi con clima box, servirebbe almeno il triplo dei fondi attuali. Il Fec si trova nella situazione in cui stagnavano i musei fino alla riforma Franceschini, quando con l’autonomia e una politica flessibile degli ingressi si è imboccata una buona strada. Possibilità possono arrivare dall’Art Bonus e dalle donazioni.

Molte fabbricerie, che hanno in gestione venticinque luoghi di culto monumentali, hanno adottato la politica di bigliettazione. È una scelta “ecumenica”, dato che anche diverse diocesi hanno scelto questa via per il patrimonio monumentale oggetto di flussi turistici. Certo il rischio della museificazione è forte. Quale è la sua opinione?

È una scelta che suscita forti perplessità di natura ideologica da parte dello Stato, e da parte della Chiesa di carattere spirituale e pastorale. Però è un dato di fatto che se un luogo sacro non è più sicuro deve essere chiuso. È un rischio tale che rende legittimo trovare nuove forme di finanziamento. Il biglietto è giustificabile per coloro che non entrano in chiesa per il suo scopo primario. Chi viene per motivi spirituali deve poter entrare gratis: e devo dire che per esperienza chi è di guardia nelle chiese, tanto diocesane quanto quelle delle fabbricerie, ha sviluppato la capacità matematica di rico- noscere con certezza matematica il motivo per cui uno varca l’ingresso. Il rischio di farne dei musei è forte, ma era imprevedibile negli anni 80 quando venne creato il Fec. Bisogna però ammettere che nei tempi recenti per tutte le chiese che nei grandi centri hanno un forte interesse turistico il carattere museale è diventato più forte della destinazione originale. Questo non deve spaventare. Bisogna considerare che già nel Medioevo le chiese erano edifici polifunzionali, qui la gente si incontrava per fatti extracultuali, anche civici. Lo stesso termine “basilica” nell’impero romano indicava uno spazio chiuso destinato a riunioni pubbliche. Un uso turistico delle chiese non è di per sé negativo. Certo può registrare esagerazioni, quando vi entrano persone che non hanno rispetto della sacralità, o solo per scattare un selfie in un luogo famoso: una cosa che accade anche nei musei. Il vero interesse culturale è sempre storico, artistico e teologico. Le chiese parlano attraverso le opere d’arte, che hanno una funzione catechetica. È durante le vacanze che spesso le persone, visitando i luoghi sacri, si trovano a riflettere sulla propria vita e sulla dimensione religiosa. Ce lo insegna san Paolo: le conversioni avvengono durante un viaggio…

I musei italiani sono, con gradi diversi, in buona se non in molta parte di “arte sacra”. A suo avviso quanto la lettura dello specifico elemento religioso è presente nel modo in cui i musei raccontano queste opere?

In alcuni di più in altri di meno. Agli Uffizi la creazione geniale di Scarpa e Michelucci nella sala di Giotto e dei primitivi ha avuto la forza di evocare il contesto ecclesiastico senza storicismi o trarre in inganno il visitatore: non c’è uno spazio ecclesiale dove la chiesa non c’è. C’è invece l’evocazione in senso astratto di atmosfera e dimensione liturgica delle opere. Poi per capirlo davvero è necessario entrare nelle chiese di Firenze, dove per fortuna ci sono ancora pale d’altare in situ... Allo stesso modo abbiamo lavorato nella nuova sala dedicata alla pittura religiosa della controriforma, uno spazio a pianta centrale che allude a uno spazio sacro. Credo anche che dove ci sia la possibilità e i requisiti, le opere, penso ad esempio a quelle nei depositi, possano tornare nelle chiese da cui provengono, nella collocazione originale. Ovviamente va valutato caso per caso e con un adeguato investimento in tecnologia e sicurezza. Ma è sempre la soluzione migliore. In questo i donatori privati possono essere preziosi: spesso in loro agisce una passione che è per l’arte ma anche autenticamente spirituale.

Che cosa è il Fondo edifici di culto?

Il Fondo edifici di culto è stato istituito e regolato dalla legge 222 del 1985, per l’attuazione di alcuni aspetti dell’Accordo del 18 febbraio 1984 tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, che ha modificato il Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929. È “l’erede” del Fondo per il Culto, istituito nel 1866 per la gestione del patrimonio immobiliare ecclesiastico incamerato con le soppressioni dallo Stato unitario (oltre a erogare la congrua). Fino al 1932 fu gestito dal Ministero di Grazia, di Giustizia e dei Culti, per poi passare agli Interni, dove si trova tuttora.
Il Fec racchiude 837 edifici sacri, distribuiti in quindici regioni italiane, sia nelle grandi città, sia nei piccoli centri, e dati in concessione gratuita a enti ecclesiastici. A questi vanno aggiunte le 25 fabbricerie italiane che, nonostante siano regolate dalla stessa legge istitutrice del Fec, operano come enti di diritto privato: il presidente di ognuna sia di nomina ministeriale. Il Fondo è proprietario anche delle opere all’interno delle chiese: da Giotto a Donatello, Michelangelo, Tiziano, Caravaggio, Guido Reni, Bernini...
Sul sito del Fec è possibile esplorare la consistenza dell’intero patrimonio architettonico, che va dalla scala monumentale al molto piccolo. Appartengono al Fec 71 chiese a Roma (tra cui Santa Prassede, Santa Maria del Popolo, Santa Maria sopra Minerva, Santa Croce in Gerusalemme, Sant’Andrea al Quirinale, Santa Maria in Ara Coeli, la Vallicella, il Gesù, i Santi Apostoli...), 47 chiese di Napoli tra cui San Gregorio Armeno e Santa Chiara (con l’annesso monastero), 32 chiese di Palermo (comprese Martorana e Teatini). A Firenze rientra nel Fec gran parte del patrimonio monumentale, a parte Santa Maria del Fiore e San Lorenzo.
Il Fec ha al suo interno anche alcune aree archeologiche, un fondo librario antico (è alla Direzione centrale del ministero e conta oltre 400 volumi editi dall’anno 1552) e, curiosamente, perfino alcune aree verdi: la Foresta di Tarvisio, che nella provincia di Udine si estende per circa 23mila metri quadri, il Quarto Santa Chiara, ai piedi della Majella, e quella di Monreale e Giardinello (in provincia di Palermo).
Il bilancio del Fec si aggira sui 18 milioni di euro, un terzo dei quali è annualmente impiegato per interventi di conservazione e restauro.

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