sabato 26 ottobre 2019
Nei Vangeli non c’è crudeltà, eppure il cattolicesimo ha insistito su un Dio che punisce ed elargisce beni dietro sacrifici. Cosa implica l’affermazione del teologo Cosentino «Dio simile non esiste»?
Illustrazione di Gustave Doré dal Libro dell’Esodo con la piaga della morte dei primogeniti

Illustrazione di Gustave Doré dal Libro dell’Esodo con la piaga della morte dei primogeniti

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Alda Merini, poetessa scomparsa il 1° novembre del 2009 (giorno di Tutti i santi), in un testo autobiografico in cui si racconta alla giornalista Cristiana Ceci nell’autunno del 2004, afferma: «Io sono molto cattolica, la mia parrocchia a Milano era San Vincenzo in Prato. Mi sento cattolica e profondamente moralista, nel senso che sono una persona seria allevata da genitori serissimi, pesanti e pedanti in fatto di morale. Non lo so se credo in Dio, credo in qualcosa che… credo in un Dio crudele che mi ha creato, non è essere cattolici questo? Perché, Dio non è così? Tutti abbiamo un Dio, un idoletto, ma proprio il Dio specifico che ha creato montagne, fiumi e foreste lo si immagina solo… con la barba, vecchio, un po’ cattivo, un Dio crudele che ha creato persone deformi, senza fortuna. Credo nella crudeltà di Dio. Non penso siano idee blasfeme, la Chiesa non mi ha mai condannata. Anzi, il mio Magnificat è stato esaltato, perché ho presentato una Madonna semplice, come è davvero lei davanti a questo stupore dell’Annunciazione, che non accetta fino in fondo perché lei ha san Giuseppe. Io pregavo da bambina, ero sempre in chiesa, sentivo sette, otto, dieci messe al giorno, mi piaceva, però non ci vado più dai tempi del manicomio. Ho trovato una tale falsità nella Chiesa allora, in manicomio vedevo le ragazze che venivano stuprate e dicevano di loro che erano matte. Stuprate anche dai preti, allora mi sono incazzata davvero. L’ho visto accadere ad altri, non è una mia esperienza». Alda Merini – proprio per la sua sensibilità poetica – apparterrebbe alla “cultura colta” e non popolare. Tuttavia per la sua esperienza in manicomio, si deve ritenere il suo diritto a essere (non senza la sua poesia) interprete della gente comune, del popolo e soprattutto dei sofferenti, degli scartati, dei pazzi. Le contraddizioni – che oggi vengono a galla in tanti scandali vergognosi nella Chiesa cattolica – sono qui evocati nel suo racconto testimoniale. E mi riferisco non solo allo stupro delle ragazze in manicomio, ma anche alla concezione di un Dio crudele che le è stato inculcato e che testimonia il fallimento della trasmissione della fede, tuttora percepibile in chi – frequenta ancora la messa domenicale – ma non vuole avere dimestichezza con il volto santo di Dio mostrato da duemila anni da Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio nella carne umana. Nella testimonianza di Gesù non c’è nessuna crudeltà in Dio. Anzi, per Gesù, Dio – il Padre suo e Padre nostro – è “solo e sempre amore”.

Il mistero della croce – cui è stato inchiodato per «aver bestemmiato Dio» – lo dichiara espressamente: nella condizione dell’assoluta impotenza, Dio si rivela Onnipotente nell’amore e perciò radicalmente incapace di fare il male, di operare violenza, di distruggere l’uomo, di uccidere, d’essere crudele. Dopo duemila anni di cristianesimo, è stata ben recepita questa “lezione di Gesù su Dio”? Secondo il giovane teologo calabrese Francesco Cosentino «si incontrano persone che, nella loro infanzia, hanno interiorizzato un’immagine di Dio oppressiva e soffocante. Esse hanno conosciuto Dio come un contabile puntiglioso o un giudice severo». È vero? Sì. Quanto è diffuso, purtroppo, questo fenomeno del fraintendimento della buona novella di Gesù, la cui predicazione costituì uno scandalo, proprio perché «include un duro combattimento contro tutte le immagini perverse di Dio spesso germogliate proprio in seno alla religione». È audace – e anche a rischio – Cosentino nel concludere con fermezza: «Questo Dio con il dito puntato che centellina la sua bontà a prezzo di enormi sacrifici, non esiste». Questo suo bel libro – Non è quel che credi. Liberarsi dalle false immagini di Dio (Edb, pagine 168, euro 13,00) – potrebbe essere indicato come esempio di pop-theology, come teologia popolare e dell’immaginazione, a servizio della Nuova evangelizzazione, perché punta a «toccare l’immaginazione della gente» (pertanto di tutti) con pensieri non negligenti, capaci di convincere sulla necessità di rendere bella l’immagine di Dio, tuttora deturpata dalle contro-testimonianze di chi “usa” l’ira di Dio per esercitare ancora ideologicamente un certo potere sulle coscienze, invece che liberarle definitivamente con l’annuncio- kerigma del Vangelo. Le ragioni cristiane dell’unico ateismo praticabile – “quel Dio non esiste”, infatti – puntano sulla predicazione cristiana di Gesù, il quale – in parole ed opere – annunciò il Regno di Dio, solo e sempre amore. Se Cosentino dice che «quel dio non esiste», la domanda da approfondire è “se sia mai esistito un dio così”. Evidentemente no! E chi lo può dire con grande ingenuità (popteologica) senza incorrere nell’accusa (banale) di marcionismo? Un Dio crudele che pratica la violenza – come nessun uomo potrebbe immaginare e operare – è raccontato in tutto quello che, noi cristiani, chiamiamo Antico Testamento. Per un lungo periodo (forse troppo lungo) la Chiesa cattolica vietò che le Scritture fossero lette integralmente dal popolo. Forse il motivo era anche positivamente “prudenziale” e venne travolto nella rissa controversistica della Riforma protestante.

E, allora, la domanda rivolta ai biblisti e ai teologi (anche al teologo Cosentino), sarebbe unica, benché formulabile in tanti modi: è mai esistito il Dio che uccide i figli primogeniti degli egiziani per costringere il faraone a far uscire il popolo dall’Egitto? E quello che ripudia Saul, perché dopo la battaglia vittoriosa contro gli amaleciti non ha passato a fil di spada uomini donne e bambini, e tutto il resto, è esistito? È esistito, poi, quel Dio di cui preghiamo la misericordia, in alcuni salmi, facendo coincidere la sua misericordia con l’aver egli distrutto po- poli e nazioni con mano potente e braccio teso? Se rispondiamo negativamente – quel dio non è mai esistito, perché fu una maschera, una falsa immagine –, non raggiungiamo proprio con questa risposta la “bestemmia di Gesù” davanti al sommo sacerdote, perché “si sarebbe fatto Dio”? Cosa potrà mai significare “il farsi Dio” se non aver avuto la presunzione di «spiegare come Dio è da sempre e nel sempre della sua vita agapica»? D’altronde, Benedetto XVI affermò in quella famosa lezione a Ratisbona: «Agire con violenza è contro la natura dell’anima e di Dio» e papa Francesco più volte ha dichiarato in pubblico che «agire con violenza in nome di dio, è satanico». Se i papi hanno ragione, ecco che l’impegno di esegeti e teologici – con una teologia che si comprenda “in ginocchio” e “in uscita” – dovranno farsi carico di “mostrarci le ragioni della speranza cristiana”, perché il popolo non creda più al dio crudele e vendicativo, al dio tappabuchi, al dio giudice che castiga, al dio contabile e legalista, al dio dell’efficienza e della conflittualità. Le immagini di Dio – avvelenate da certa falsa religiosità del mascheramento – vanno sostituite da quelle immagini di Dio che «fanno bene all’anima» – secondo Cosentino – quali: Dio è creatore, Dio è pastore; Dio è padre e madre; come anche delle immagini «che ci parlano bene di Dio», quali: roveto ardente, tempio di Dio, la sorgente.

Qui una pop-theology è attesa per un lavorio critico veramente indefesso, come ministero ecclesiale di una rinnovata predicazione cristiana. La teologia come scienza, infatti, deve continuare a dialogare e confrontarsi con i grandi orizzonti dischiusi dalla speculazione filosofica, dagli sviluppi delle scienze e dalle nuove vie dell’ermeneutica contemporanea. Deve però non dimenticare – come forse ha fatto per troppo tempo – che l’interlocutore privilegiato della teologia resta il popolo di Dio (che tra altro della teologia è il soggetto proprio), la gente comune, i poveri. Questi, la teologia – divenuta sempre più popolare, anche nel linguaggio e nella mediazione comunicativa – deve servire affinché la gente possa apprezzare – anche, per questa via della carità intellettuale, che orienta le coscienze credenti a credere nel vero Dio di Gesù Cristo – la bellezza e la bontà del Dio sempre e solo amore, che il Crocifisso annuncia, “una volta per tutte”. Infatti, sulla croce, nella condizione dell’assoluto silenzio di un Dio muto, Dio lancia la mondo la Parola più eloquente: Dio è amore, Dio è buono, solo e sempre. La teologia deve – dal canto suo – solo contribuire a quanto Dio stesso può far sorgere dal vissuto dell’esperienza di ognuno. Alda Merini crede in un “dio crudele”, eppure può testimoniare: «Quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita». E non appartiene questo, di diritto, al messaggio staurologico di Gesù crocifisso?

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