mercoledì 4 febbraio 2015
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Conservatore ma non fondamentalista, strenuo difensore e capo stipite della scuola romana di teologia, prima e dopo il Vaticano II, fedele discepolo del pensiero controversistico di San Roberto Bellarmino e soprattutto strenuo difensore del tomismo integrale.  Sono gli attributi, ma anche gli epiteti più ricorrenti, con cui è stata definita l’azione e il pensiero teologico del gesuita olandese Sebastian Tromp (1889-1975) ricordato ancora oggi, a 40 anni dalla sua morte, (l’8 febbraio), soprattutto come il segretario della commissione teologica del Concilio Vaticano II e perito di fiducia di uno dei leader della minoranza conciliare: il cardinale dell’allora Sant’Uffizio Alfredo Ottaviani.  Ma chi era questo severo «gesuita della vecchia guardia», secondo una felice definizione di Giacomo Martina, temuto teologo sospettato di intransigentismo e raffinato latinista (scelto anche per questo da Giovanni XXIII) della Pontificia università Gregoriana di Roma prima di partecipare al Concilio?  Sebastian Tromp nasce a Beek il 16 marzo 1889. Nel 1907 fa il suo ingresso nella Compagnia di Gesù. Sono gli anni (1908-1926) della formazione teologica e filosofica, assieme alla laurea in lettere classiche, che formano il futuro studioso di razza.  Dal 1929 diventa professore di teologia dogmatica presso la Gregoriana. Anni che lo portano allo studio approfondito dei padri della Chiesa e di due gesuiti divenuti poi dottori della Chiesa e santi come Pietro Canisio e Roberto Bellarmino. Sua la scoperta nel 1933, da autentico cultore della memoria bellarminiana, nella biblioteca civica di Trier (Germania) dell’Index haereticorum; a San Roberto Bellarmino, teologo gesuita post-tridentino, Tromp dedica, dal 1942 al 1969, una delle sue fatiche accademiche più complesse l’Opera oratoria postuma (in 11 volumi).  Proprio per la sua veste di alfiere della teologia romana viene scelto da Pio XI fin dal 1935 come consultore del Sant’Uffizio. Ma è con papa Pacelli che Tromp mostra le sue doti migliori di vero ermeneuta del magistero di Pio XII. Collabora alla stesura di due importanti encicliche la Mystici corporis del 1943 (a cui lui stesso farà riferimento costante durante tutto il Concilio) e la Mediator Dei et hominum del 1947. Assieme al domenicano Réginald Garrigou Lagrange è uno degli estensori “indiretti” della famosa enciclica del 1950 sui pericoli del pensiero moderno la Humani generis i cui fulmini di condanna colpiscono e non marginalmente due esponenti della  Nouvelle théologie come Yves Marie Congar e Henri de Lubac.  Tocca a questo «lavoratore indefesso» e poliglotta, come lo definisce il cardinale Ottaviani, guidare nella sua veste di segretario la Commissione teologica preparatoria del Vaticano II. Tenta invano – secondo la ricostruzione fornita dalla storica e profonda conoscitrice dei suoi diari conciliari (pubblicati in lingua tedesca nel 2006 e 2011) Alexandra von Teuffenbach – di convincere il “carabiniere della Chiesa” Ottaviani ad aggiungere nella lista dei periti di quella commissione (1960-62): Karl Rahner. Come certamente singolare è la sua osservazione su quegli anni che anticiparono il Concilio: «Signori miei, non dovete fare gli schemi migliori. Sicuramente poi questi non verranno presi. Non dovete pensare che i signori che giungono dalla Germania, Francia vengano per fare delle firme. Dovete lasciare loro la possibilità di fare dei veri miglioramenti».   Ed è proprio con il Vaticano II che padre Tromp si trova a giocare un ruolo da vero dominus assieme a Ottaviani, il domenicano e cardinale Michael Browne e Pietro Parente nelle prime fasi del Concilio e poi ad accettare, suo malgrado, le istanze di novità e di «aggiornamento» che arrivano dal resto dei padri e periti del Concilio.  Famosa rimane, durante l’assise conciliare, la sua chiarezza argomentativa e finezza ecclesiologica, carica a volte di autoironia, confermata dalle impressioni di un teologo che lo conobbe da vicino durante quelle sessioni come Hans Küng (documentata ancora oggi nel suo libro di memorie Erkämpfte Freihet“La libertà conquistata”'). O ancora da De Lubac che nei suoi Quaderni del Concilio lo ricorda così: «Ha il consueto tono di burbera autorità e la sua imperturbabile fiducia in se stesso: è il vecchio professore che fa entrare la lezione nel cervello di allievi mediocri…». Fondamentale è il suo ruolo (frutto anche di un’estenuante mediazione col belga monsignor Gérard Philips) per la stesura della costituzione conciliare Lumen gentium.  Di questo documento la sua impronta più significativa è, soprattutto assieme a quella del suo confratello il gesuita tedesco e canonista della Gregoriana Wilhelm Bertrams, nella redazione della famosa Nota explicativa praevia che definisce il rapporto tra primato petrino ed episcopato. Come sua è la supervisione sulle altre due costituzioni del Vaticano II: la Dei Verbum e la Gaudium et spes. L’ondata di novità conciliare è accettata con grande spirito di obbedienza dal teologo pacelliano e considerato oramai anche dallo stesso Congar nel 1965 come un «leone indebolito e addolcito» : «Non ho mai accettato che qualcuno mi mettesse delle catene. Ma se è la Chiesa a mettermele, le accetto e le bacio». Il suo amore e attaccamento alla Chiesa è testimoniato ancora oggi dal suo lavoro certosino di latinista per la redazione dell’indice analitico- alfabetico del Vaticano II Constitutiones, decreta, declarationes. Cura et studio secretariae generalis Concilii oecumenici Vaticani II. «Il suo lavoro – rileva il gesuita olandese Marc Lindeijer – fu talmente fatto con misura ed equilibrio che ricevette il plauso anche dei suoi antichi avversari al Concilio».  Nei dieci anni (1965-1975) che lo separano dalla morte, padre Tromp continua ad essere all’interno della Gregoriana il teologo di sempre (impartendo i corsi universitari in latino) e avendo come riferimento ideale il papa della sua giovinezza, Pio XII: proverbiale sembra sia stata la sua, vana, resistenza nel 1967 all’assegnazione del titolo summa cum laude alla laurea in teologia dell’allievo prediletto di Karl Rahner e futuro cardinale Karl Lehmann.  Tanti i suoi gesti di carità “nascosta”, come la costante visita agli infermi e ai malati del suo ordine. Muore poveramente e sobriamente, estenuato dal lavoro, ma «lucido sino alla fine» come ricorda oggi il gesuita tedesco Peter Gumpel nell’infermeria della Gregoriana di Roma, all’età di 86 anni, l’8 febbraio di 40 anni fa. Le esequie nella chiesa di Sant’Ignazio, non distante dalla tomba del suo santo del cuore Roberto Bellarmino, sono presiedute da uno dei padri nobili dell’ecumenismo post-conciliare, il cardinale Johannes Willebrands.
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