martedì 9 settembre 2014
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​I recenti fatti del Missouri ci hanno riportato a una triste realtà: l’illusione che, negli Stati Uniti, le tensioni tra afro-americani e bianchi fossero finite con le lotte degli anni Sessanta. Così non è. Settant’anni fa, però, i loro avi fecero non poca fatica per riuscire a dare il loro contributo alla guerra contro il nazismo.All’epoca, infatti, i «neri» erano ritenuti troppo «ottusi e lenti» per combattere al fianco dei bianchi. Qualcuno si era dimenticato forse (o faceva finta di non ricordare) che proprio un reggimento di soldati di colore aveva avuto una notevole importanza sul fronte francese, durante la Grande Guerra, tanto da ricevere la prestigiosa Croix de Guerre. Ma tra la fine degli anni Trenta e l’inizio dei Quaranta la partecipazione dei discendenti degli schiavi africani nelle file dell’esercito non era lontanamente presa in considerazione.Lentamente, però, iniziarono a farsi largo alcune importanti voci contro l’imperante razzismo. Il Pittsburg Courier, in una lettera aperta al presidente Franklin Delano Roosevelt, chiese di creare una nuova divisione militare composta interamente da uomini di colore, al grido di «date ai nostri uomini la possibilità di combattere». E così, a causa anche dell’andamento della guerra, si decise di organizzare una divisione di «neri»: la 92ª denominata «Buffalo» (simbolo anche dell’unità militare), un vecchio appellativo dato dai pellerossa agli uomini di colore che combatterono nel 10° Reggimento di Cavalleria: sia per la loro capigliatura riccia che ricordava il manto del bisonte, sia per la loro forza e tenacia simile a quella dell’animale che per i nativi era il più sacro, nobile e degno di rispetto.Addestrati tra Texas e Alabama, i Buffalo furono comandati da ufficiali degli Stati del sud, razzisti di prim’ordine, ritenuti più adatti al comando di quella singolare unità per le loro esperienza di schiavisti. «I soldati non ricevettero un addestramento adeguato – spiega Vittorio Lino Biondi, ufficiale dell’Esercito Italiano, esperto di storia militare locale –. Inizialmente i Buffalo Soldiers furono destinati alla guardia agli aeroporti alleati nel Mediterraneo. Infatti, gli Usa avevano puntato molto sulla superiorità della forza aerea seguendo le indicazione di un generale italiano, Giulio Douhet, che aveva pronosticato: "Vincerà chi avrà il dominio dell’aria". In seguito i soldati di colore furono inviati su un fronte terziario a sorvegliare obbiettivi sensibili che si trovavano nel sud Italia; non era previsto un loro impiego al fronte».Ma dopo la conferenza di Teheran venne deciso di spostare forze della V Armata dal teatro italiano per attaccare il sud della Francia, rimpiazzandole con gli uomini della 92ª che – appena sbarcati a Napoli – si trovarono così di colpo in prima linea. Entrati in combattimento giusto settant’anni fa a Pisa, gli afroamericani sostituirono la Força Expedicionária Brasileira nel settore apuano, della Versilia e della Valle del Serchio. I soldati costituirono con le popolazioni locali un ottimo rapporto combattendo invece una «doppia guerra». Ha spiegato infatti Ivan J. Houston, reduce della Buffalo: «Non combattevano solo contro il nemico nazista, ma anche contro un nemico interno: il razzismo degli alti ufficiali bianchi».Il generale comandante della divisione, Edward Almond, li accolse così: «Noi non vi abbiamo chiamato. I vostri giornali e politici neri assieme ai vostri amici bianchi hanno insistito per vedervi combattere e io mi impegnerò perché voi combattiate e offriate la vostra parte di vittime». I caduti furono più di mille; 3500 invece i feriti e i dispersi. Almond spesso accusò i neri di scarso coraggio, ma non fu così. Ad esempio a Sommocolonia, un piccolo borgo montano del comune di Barga, durante uno degli ultimi colpi di coda dei tedeschi, l’«Operazione Wintergewitter» attuata di sorpresa il giorno di Santo Stefano 1944, il tenente John Fox compì un atto di straordinario eroismo: chiamò il tiro dell’artiglieria americana sulla sua posizione, sacrificandosi per la riuscita della battaglia.
Ben prima che gli Stati Uniti negli anni Novanta, con l’amministrazione Clinton, concedessero ai Buffalo la prestigiosa Medal of Honor, il professore di storia contemporanea all’università di Udine Umberto Sereni promosse l’intitolazione di un cippo alla divisione nera, individuando nel periodo bellico italiano l’inizio del riscatto del popolo afroamericano. Un particolare messo in evidenza anche dal documentario Inside Buffalo, premiato al Festival del Cinema di Berlino e realizzato dal regista italo-ghanese Fred Kuwornu, che ha conosciuto la storia dei black warriors sul set del film di Spike Lee Miracolo a Sant’Anna; quest’ultimo racconta proprio della partecipazione di un gruppo di militari della 92ª alla Campagna d’Italia.«I buffalo soldiers – spiega Kuwornu – parteciparono agli scontri sulla Linea Gotica e al Cinquale, liberando con le altre forze alleate e i partigiani le città di Lucca, Viareggio, La Spezia, Genova. Ma al loro rientro non ricevettero alcun riconoscimento se non solo dopo vari decenni, come nel caso di Vernon Backer che ebbe un ruolo fondamentale nell’assalto al Castello Aghinolfi di Montignoso».Il filmato, proiettato tra l’altro alla Library of Congress di Washington e alla New York University, ha ricevuto i complimenti da parte del presidente Barack Obama, che in una lettera al regista ha scritto: «Nonostante i tanti ostacoli i Buffalo Soldiers servirono la Patria con coraggio, preparando la strada alle future generazioni. Nella Seconda Guerra Mondiale esemplificarono il loro eroismo collaborando alla liberazione di un continente dalla tirannia, cambiando il corso di un intero secolo».
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