giovedì 11 maggio 2023
Un “Meridiano” riapre il dibattito su un autore che fa ancora discutere: la cultura laica lo dipinse come un pericoloso reazionario cattolico
Giovanni Testori (12 maggio 1923 - 16 marzo 1993)

Giovanni Testori (12 maggio 1923 - 16 marzo 1993) - archivio

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Finalmente anche Giovanni Testori ha il suo “Meridiano”. Il volume, intitolato Opere scelte (di cui è imminente l'arrivo in libreria per i tipi di Mondadori, pagine CXIV-1.600, euro 80), si avvale di rigorosi apparati: la cura di Giovanni Agosti, professore di Storia dell’arte moderna alla Statale di Milano, che ha allestito il progetto e firma l’Introduzione; la Cronologia di Giuseppe Frangi, nipote e depositario delle memorie familiari e dei documenti confluiti presso Casa Testori a Novate Milanese, paese natale dello scrittore; le “notizie” sui testi e la bibliografia di Giovanni Battista Boccardo, ricercatore in Linguistica italiana all’università di Pavia.

Non che sinora mancasse un’edizione complessiva delle opere di Testori: l’operazione era stata compiuta dal compianto Fulvio Panzeri in tre ponderosi volumi tra il 1996 e il 2013 per i “Classici” Bompiani. Ma certamente un “Meridiano”, che esce in occasione del duplice anniversario testoriano (il 12 maggio è il centenario della nascita, mentre lo scorso 16 marzo è stato il trentennale della scomparsa), può rappresentare una preziosa occasione per un rilancio e una rilettura. Nel saggio introduttivo, che non manca di incrociare in maniera suggestiva l’oggettività del tentativo di ricostruzione filologica con la memoria e i ricordi personali, Giovanni Agosti dà conto dei criteri seguiti nella scelta dei testi, stante l’impossibilità di offrire, nel limite delle pagine previste, l’integralità dell’opera testoriana. Il primo obiettivo è stato quello di testimoniare adeguatamente tutti i generi della scrittura di Testori: romanzi, racconti, poesie, poemi, saggi critici, testi teatrali, presentazioni di libri, sceneggiature cinematografiche, articoli di giornale (a loro volta di diverse tipologie: dagli interventi in prima pagina alle recensioni).

Si spiega così, ben più che con le predilezioni del curatore (che è storico e critico d’arte), la decisione di inserire alcuni importanti interventi testoriani nell’ambito della storia dell’arte, con l’aggiunta, a loro cor di una serie di tavole fuori testo contenenti gli apparati illustrativi messi a punto dallo stesso Testori o da lui sovrintesi. I testi sono stati disposti in ordine cronologico, a prescindere dalle tipologie: la scelta, che può essere discussa (una suddivisione per generi avrebbe forse dato ai materiali una disposizione più ordinata), è intesa a mostrare l’intreccio dei generi nel laboratorio creativo dello scrittore e a consentire di leggere in prospettiva diacronica le diverse tappe di una lingua che muta continuamente. L’indice comincia con un saggio sul pittore secentesco Francesco del Cairo, con cui nel 1952 l’autore esordisce su “Paragone”, la rivista di Roberto Longhi, e si conclude con il trittico dei Tre lai, tre canti, pubblicati postumi nel 1994, che riecheggiano il viaggio dantesco nella disperazione dell’Inferno, nella speranza del Purgatorio e nella mistica visione del Paradiso.

In mezzo altri testi celebri e meno celebri (va riconosciuta ad Agosti l’originalità di alcune scelte poco prevedibili), tra cui, per fare solo qualche esempio: la narrativa del Dio di Roserio (1954), dell’Arialda (1960) e della Cattedrale (1974); L’ultima processione di S. Carlo, secondo intermezzo del lungo poema d’amore I trionfi (1965), ma anche In trigesimo, la poesia composta in memoria del padre Edoardo, scomparso nel 1965, stampata in edizione privata; per il teatro, entrambi del 1977, Edipus e Conversazione con la morte, quest’ultimo ispirato dall’esperienza della morte della madre; un articolo, scritto per “l’Espresso” nel novembre del 1975, all’indomani del barbaro assassinio di Pasolini; il saggio del 1956 su Gaudenzio Ferrari e il Sacro Monte di Varallo (quel «gran teatro montano» autentica scoperta di Testori, che contribuì in maniera determinante a valorizzare questo patrimonio di arte sacra popolare) e l’intervento su Francis Bacon scritto in occasione della mostra londinese del 1985.

L’uscita del “Meridiano” offre anche un’opportunità di bilancio critico dell’opera di Testori, al di là dei fraintendimenti e delle resistenze che egli ha subìto in vita. È ormai assodata, in sede storicoletteraria, la sua collocazione - affermata da Gianfranco Contini in un celebre saggio del 1963 posto come introduzione alla prima edizione in volume della Cognizione del dolore di Gadda - nel filone plurilinguistico, prettamente lombardo (o, meglio, padano), che dalla Scapigliatura milanese passava per Gadda e giungeva ad Arbasino, e che in seguito avrebbe avuto altri importanti esponenti, da Tondelli a Busi. Ma non tutti, vivente Testori, erano disposti a riconoscerne la grandezza. Come puntualizza bene Agosti, «l’autore restava fortemente divisivo ed era morto da divisivo: non aveva fatto in tempo, insomma, a diventare in vita un “venerato maestro” ». Proprio Italo Calvino, che aveva pubblicato Il dio di Roserio nella collana einaudiana dei “Gettoni”, aveva affermato perentorio: «Di Testori meno se ne parla meglio è». Troppo diversi e lontani i percorsi letterari e le prospettive ideologiche dei due autori. Ma era stata, in generale, la cultura laica e progressista a vedere in Testori un pericoloso reazionario cattolico, che era sconveniente promuovere in società.

Uno che nel 1981, pochi giorni prima del referendum sulla legge 194, faceva debuttare a Firenze un monologo contro l’aborto, Factum est, era un personaggio quanto meno imbarazzante. Il perbenismo conformista, tollerante soltanto a parole, che dominava l’intellighenzia del nostro Paese in quegli anni provava fastidio di fronte a un autore che visceralmente metteva in scena (non solo a teatro) se stesso e le proprie ossessioni, anima e corpo (soprattutto corpo, con tutta la dimensione “materiale- corporea”, per dirla con Bachtin), a costo di apparire “politicamente scorretto” (anche se allora questa espressione non era ancora invalsa). Non si capiva - citiamo ancora dal saggio di Agosti - che la sua era «una ricerca espressiva mai rassicurante. Forse qualche volta prevedibile, quasi automatica, ma rassicurante no, né ferma su sé stessa».

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