lunedì 27 gennaio 2020
Campione dello sport mondiale ma anche marito e padre appassionato che aveva trovato nella fede cattolica il punto di svolta della propria vita
Kobe Bryant con la figlia Gianna, entrambi morti nello schianto dell'elicottero

Kobe Bryant con la figlia Gianna, entrambi morti nello schianto dell'elicottero - Reuters

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Saranno lunghe le indagini per accertare le cause dello schianto dell’elicottero in cui hanno perso la vita la star dell’Nba Kobe Bryant, sua figlia Gianna Maria ed altre sette persone. Il campione dei Lakers stava raggiungendo il centro sportivo della sua “Mamba Academy” dove la figlia e una sua compagna si sarebbero dovute allenare quando il suo velivolo privato ha impattato una collina a Calabasas a una cinquantina di chilometri da Los Angeles. La fitta nebbia è al momento la causa più probabile dello schianto dell’elicottero che volava a circa 300 km/h. Eppure il pilota aveva ottenuto una speciale autorizzazione per continuare a volare nonostante la nebbia fitta. Solo poche ore prima della tragedia, Bryant si era congratulato con LeBron James che lo aveva superato nella classifica dei migliori realizzatori di tutti i tempi issandosi al terzo posto assoluto della storia dell’Nba. «Grande rispetto per mio fratello King James», aveva twittato Kobe. E le immagini di LeBron James in lacrime quando riceve la notizia della morte dell’amico hanno già fatto il giro del mondo. Sotto choc anche un’altra leggende del basket come Michael Jordan che ha ricordato come Kobe fosse «un padre straordinario». Ma sgomento e messaggi di cordoglio piovono da ogni angolo del pianeta, dagli sportivi ai politici. E il dolore si fa sentire ovviamente anche in Italia dove Kobe è cresciuto con il papà Joe giocatore negli anni ’90. Il comune di Reggio Emilia - dove Kobe ha giocato nelle giovanili - ha già fatto sapere che gli intitolerà una piazza. (Angelo Marchi)

Quando meno te l’aspetti anche i supereroi volano via… Avrei cominciato così la storia della buonanotte, ma quando abbiamo appreso la tragica notizia di Kobe Bryant i miei figli già dormivano lasciandomi con tutte le domande di un padre coetaneo del leggendario “Mamba”.

A 41 anni il pensiero di non vedere e di non poter essere più al fianco dei tuoi figli è lancinante. Immedesimarsi nel vuoto che proveranno la moglie e le altre tre figlie del campione scomparso insieme con la secondogenita, la tredicenne Gianna Maria Onore, è qualcosa che sgomenta.

È un dolore simile a quello che proviamo per la perdita improvvisa di un nostro caro. Perché se anche Kobe non lo conoscevamo di persona è vero che la sua immagine e le sue gesta hanno riempito la nostra adolescenza e tanti momenti felici del nostro passato. Una scomparsa che va oltre la stessa famiglia degli appassionati di pallacanestro perché la sua popolarità aveva varcato da tempo anche l’ambito dello sport. Tanto più che Kobe, prima di diventare un’icona planetaria capace di prendere il posto di Michael Jordan, ha imparato a giocare da noi vivendo in Italia dai sei ai tredici anni per via del padre che ha vestito le canotte di Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Un legame con il nostro Paese mai interrotto e di cui andava fiero come testimoniano i nomi delle figlie (oltre a Gianna Maria, Natalia Diamante, Bianka Bella e Capri Kobe nata solo da pochi mesi) e la passione calcistica più volte ribadita per il Milan.

Una carriera fantastica, cinque titoli Nba con la sua unica squadra, i Los Angeles Lakers, una sfilza di impressionanti primati personali e due ori olimpici. Quattro anni fa aveva detto basta in una maniera insolita, con una lettera toccante e un saluto da brividi in tutti i palazzetti d’America, applaudito anche dai suoi avversari storici. Lo abbiamo visto commuoversi e sotto la sua corazza di professionista maniacale e spesso spigoloso è venuto fuori un campione dal volto umano. Dicono che dopo il ritiro avesse perso quell’arroganza e quella spocchia che spesso lo rendevano inviso a quelli che non erano suoi tifosi. In realtà il cambiamento come ha confidato lui stesso era avvenuto anni prima, all’apice del successo, quando l’accusa di stupro (poi archiviata) lo gettò nella disperazione: «Avevo venticinque anni. Ero terrorizzato. L’unica cosa che mi ha aiutato davvero durante quel processo - sono cattolico, sono cresciuto come cattolico, i miei figli sono cattolici - è stato parlare con un sacerdote. E lui mi disse: “Dio non ti darà nulla che tu non possa affrontare, e ora è tutto nelle sue mani. È una cosa che non puoi controllare, quindi lascia stare”. E quello è stato il punto di svolta».

Sposato dal 2001 con Vanessa Cornejo, per la sua infedeltà ha rischiato il divorzio, salvo poi riconciliarsi e raccontare un altro drammatico evento nel documentario Muse: «Durante quel periodo stavamo aspettando il nostro secondo figlio e c’era così tanta tensione e tanto stress che lei ebbe un aborto spontaneo. Perse il nostro bambino. È qualcosa di davvero terribile, è molto difficile ripensare a questa cosa». E Kobe ha ammesso: «Tutto ciò è avvenuto a causa mia. È una cosa con cui devo fare i conti ogni giorno, me la porterò dentro per sempre... Vanessa è stata fantastica, avrebbe potuto lasciarmi e portarmi via metà del mio patrimonio, ma ha deciso di credermi e di restarmi vicino».

Abbiamo perso una leggenda dei canestri, ma anche un marito e un papà che oggi sentiva di trasmettere tutto quello che aveva ricevuto alle sue figlie e ai ragazzi della sua Mamba Academy. Perché più dei record ciò che rimane è l’amore. Accompagnava sua figlia a fare allenamento prima che quell’elicottero rifilasse anche a noi una stoppata incredibile alla nostra superficialità, al nostro dimenticare che siamo appesi a un filo e la vita può apparire crudele come il finale di una partita persa all’ultimo secondo. Anche se ora fa male, l’esempio di Kobe ci impone di alzare lo sguardo. Sì, è vero, anche i supereroi volano via quando meno ce l’aspettiamo. Ma perché convocati da un Padre più grande, per una partita che non finirà.

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