domenica 8 dicembre 2019
Il giornalista Antonio Talia percorre la Statale 106 Jonica, da Reggio Calabria a Siderno, per capire dove nasce quello che è diventato un fenomeno criminale globale
In viaggio sulla Statale 106, la strada della 'ndrangheta

Un'immagine della Statale 106 Jonica (Ansa)

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La strada statale 106 corre lungo la costa jonica per 491 chilometri, da Reggio Calabria a Taranto. Una striscia d’asfalto che attraversa Calabria, Basilicata e Puglia. La chiamano «la strada della morte» per l'altissimo numero di incidenti. Uno stretto budello a due corsie (tranne pochissimi tratti) che si infila in decine di paesi, tra un’edilizia disordinata e un mare spesso nascosto. Una strada che è un po’ la metafora della Calabria, soprattutto nel tratto reggino.

Il sacco del territorio, l’anonimato di centri abitati noti solo per fatti criminali, l’arretratezza dei collegamenti (a fianco corre, si fa per dire, la linea ferroviaria a binario unico e in gran parte non elettrificata). Negatività che cancellano una storia antichissima, dai greci ai romani ai bizantini. E allora la 106 è soprattutto metafora della ’ndrangheta, la «sindrome che aleggia nella zona», così come la definisce Antonio Talia nel libro molto ricco e intenso Statale 106. Viaggio sulle strade segrete della ’ndrangheta (Minumum Fax). «La Statale 106 – scrive il giornalista calabrese, figlio proprio di questa terra – non è una strada statale litoranea, ma un abominio statistico di dimensioni internazionali: sono abbastanza sicuro che non esista al mondo una densità di fenomeni del genere come quella che si concentra nell’arco dei 104 chilometri tra Reggio Calabria e Siderno».

Un viaggio a tappe lungo una storia di sangue, di collusioni con la politica e l’economia, non solo storia calabrese. Lasciando ogni tanto la 106 per risalire, lungo strade malmesse che affiancano immense fiumare, le pendici dell’Aspromonte, fino a paesini che evocano la drammatica stagione dei sequestri di persona e quella ancora attualissima dei ricchissimi traffici di droga. Ma da qui partono altri percorsi che portano molto più lontano.

«Sovrapporre gli alberi genealogici a una mappa della Statale 106 – scrive ancora Talia – significa accedere a una geografia occulta costituita da intrecci, parentele, cognomi ricorrenti e nomi di battesimo che fluiscono sottotraccia per ricomparire dopo due o tre generazioni dall’altra parte del pianeta». Così la 106 ci porta in Lombardia, Germania, Olanda, Slovacchia, Sudamerica, Usa e Canadà, fino all’Australia, dove fare affari ma dove anche compaiono “locali”, riti di iniziazione e formule di giuramento come nei paesini aspromontani. Un legame strettissimo, un cordone ombelicale, perché il comando, le decisioni finali, l’ortodossia restano sempre qui, lungo questa fascia di territorio.

«Tutte queste locali – si legge nel libro – agiscono in autonomia sul territorio, ma allo stesso tempo sono tenute a rispettare le regole del Crimine di Polsi (il santuario della Madonna della Montagna, a lungo luogo degli accordi e delle strategie ’ndranghetiste, ndr) che emette una sorta di interpretazione inappellabile della “Costituzione criminale” dell’organizzazione». Un’unitarietà nella diversità, che scorre lungo la Statale.

Il viaggio fa una prima tappa a Bocale, al chilometro 15 della 106. Qui aveva una villa Lodovico Ligato, parlamentare Dc, potentissimo presidente delle Ferrovie dello Stato, e qui venne ucciso nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1989, uno dei tre delitti eccellenti di ’ndrangheta: il suo, quello nel 2005 del vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno, quello nel 1991 del sostituto procuratore generale Antonino Scopelliti, in realtà un favore a “cosa nostra” per eliminare il magistrato che in Cassazione si doveva occupare del maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino.

La ’ndrangheta non ama i clamori, non li provoca. Certo usa la violenza e anche pesantemente. Nella terza tappa a Montebello Jonico, al chilometro 30, si ricorda la seconda guerra di ’ndrangheta che «finisce nel ’91, dopo sei anni, 564 vittime accertate e un numero tra le 100 e le 200 persone scomparse nel nulla, fuggite o peggio». Non è improvviso «buonismo». Ma la «strategia dell’inabissamento» nella quale «controversie che in passato conducevano a conflitti armati, da tempo vengono invece appianate attraverso discussioni e decisioni emesse dagli affiliati più autorevoli, per essere liberi di continuare a fare affari». Perché sono proprio gli affari a viaggiare meglio lungo la 106 e lungo le tratte europee e transoceaniche.

Strettamente intrecciate con la politica. Fin dal delitto Ligato che, scrive Talia, «è allo stesso tempo la balena bianca degli omicidi di ’ndrangheta e un gigantesco rimosso collettivo». Merito del libro ricordarlo, ricordando anche quelle drammatiche parole di Oscar Luigi Scalfaro, futuro presidente della Repubblica, che al Consiglio nazionale della Dc tenutosi quattro giorni dopo l’omicidio, di fronte al silenzio generale, disse con onestà e sincerità: «Ligato è nostro. Perché fu un nostro deputato, perché a quel posto di responsabilità non ci andò da solo. Vogliamo andare avanti in silenzio, passando oltre anche queste scene colorate di sangue? O vogliamo fermarci a meditare quanto taluni sistemi possono portare persino a conseguenze di questo peso?».

Storie rimosse. Come quella rievocata alla tappa di Saline Joniche, al chilometro 27. Dove una ciminiera alta 154 metri ricorda uno degli sprechi pubblici più giganteschi non solo della Calabria: la Liquichimica biosintesi, decine di miliardi spesi, 750 operai che lavorarono per 60 giorni per poi restare 23 anni in cassa integrazione. Lo sfascio della costa, interessi politici, affari delle cosche e una grande illusione.

Una costante lungo la 106. E non solo. Così la tappa al chilometro 86, parte da San Luca, “la mamma” della ’ndrangheta, arroccato sulla fiumara del Bonamico, per farsi europea. A quella notte «tra il 14 e il 15 settembre 2007, quando si svela la sovrapponibilità tra Statale 106 e Autobahn tedesche». È la notte della strage di Duisburg, sei morti, l’ultimo capitolo della faida del paese che ha dato i natali a Corrado Alvaro, e alle cosche Nirta-Strangio e Pelle-Vottari. Quando, scrive Talia, «l’intera Europa apprende cosa significa la parola ’ndrangheta». Così come una lunga fila di omicidi lo svela a canadesi e australiani. Morti e affari globalizzati. Ma la mente, la testa rimangono sempre qui, su questa striscia d’asfalto.

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