mercoledì 8 aprile 2020
Stroncato dal coronavirus a 56 anni l'azzurro due volte finalista alle Olimpiadi negli anni Ottanta. Un uomo e un campione limpido che denunciò il doping
L'ex atleta olimpico Donato Sabia

L'ex atleta olimpico Donato Sabia

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Se n’è andato via troppo presto. Di corsa, come gran parte della sua vita. A 56 anni l’atletica italiana perde uno dei suoi migliori protagonisti, Donato Sabia, il “Mennea lucano”. Un uomo e un campione limpido, di cui andava fiera un’intera regione che oggi proprio non riesce ad accettare che il Covid–19 sia stato più forte dei suoi polmoni olimpici. Perché fin lì aveva portato la sua Basilicata, a Los Angeles 1984 e Seul 1988, due volte finalista ai Giochi negli 800 metri piani. Ma anche splendida medaglia d’oro agli Europei di Göteborg del 1984 prima che gli infortuni condizionassero la sua folgorante carriera. Una parabola beffarda come la sua scomparsa oggi all’ospedale “San Carlo” di Potenza: era ricoverato in terapia intensiva insieme col padre 79enne morto proprio qualche giorno fa sempre a causa del coronavirus. Un dramma nel dramma per la famiglia di Sabia che lascia la moglie e due figlie.

Era nato a Potenza l’11 settembre 1963 e dal capoluogo di regione aveva spiccato il volo cominciando già a 16 anni a vincere i primi titoli italiani nei campionati giovanili. Amico e compagno di allenamenti di Pietro Mennea, con cui ha condiviso anche diverse staffette 4x400, anche Sabia aveva lasciato la sua terra per affermarsi ad alti livelli. E appartengono ancora a lui primati che il tempo non è riuscito a scalfire come la terza migliore prestazione italiana di sempre negli 800 metri. Nel giro della Nazionale sin da quando aveva 18 anni è stato anche primatista mondiale sui 500 metri, un record rimasto imbattuto per circa 29 anni.

Una carriera chiusa anzitempo per le continue tendiniti ma anche per la sua tempra di uomo integerrimo, lontano da ogni compromesso. Lo ha raccontato lui stesso di recente alla Gazzetta del Mezzogiorno: «Nel 1987 ero in ripresa e arrivai secondo alla Coppa Europa di Praga sotto la guida di Sandro Donati. Poi l’ennesimo infortunio. Mi proposero di ricorrere al doping per continuare la carriera. Dissi “no” e denunciai il fatto dopo la conferenza stampa di presentazione della squadra per i mondiali di Roma quando un giornalista chiese al Ct della nazionale che fine avesse fatto Sabia: “Si è infortunato, gli abbiamo proposto di aiutarlo, ma non si è fatto aiutare. Ha paura del confronto con il pubblico italiano”. Non finì lì. L’Espresso raccolse la mia denuncia. In realtà avevo detto “no” al doping, un “aiuto” a quei tempi quasi “istituzionalizzato”. E da allora mi chiusero tutte le porte».

Dimessi i panni di atleta e indossati quelli da tecnico fu costretto a lasciare l’Italia e per tre anni è stato anche responsabile della federazione atletica maltese che ha guidato ai Giochi di Sydney nel 2000. Ma la famiglia e la passione per l'atletica, «che non si spegne mai» come amava ripetere, l’avevano riportato a casa. E oggi era presidente del comitato regionale della Basilicata della Fidal sempre a caccia di talenti lucani che potessero imitarlo e superarlo. Tutto il mondo sportivo e delle istituzioni lo ricorda. Donati, il tecnico che lo ha allenato sin da giovane è ancora incredulo: «Un ragazzo schivo, sano dentro. Ha ottenuto molto meno di quanto avrebbe potuto vincere. È stato un eroe dell’atletica vera». Elogi che lo avrebbero imbarazzato perchè, come disse una volta, lui era timido. Ma anche tanto lucano. E i lucani come ha detto il poeta Leonardo Sinisgalli «non sono esibizionisti. Il lucano più di ogni altro popolo, vive bene all’ombra… Lucano si nasce e si resta».

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