domenica 17 marzo 2019
l cantautore milanese torna con un intenso album di undici inediti rock che toccano le corde del cuore «La vita, la fede: una riflessione mai cupa Guardarsi dentro è sempre positivo»
Enrico Ruggeri, 61 anni (Foto: Ansa)

Enrico Ruggeri, 61 anni (Foto: Ansa)

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Ci sono artisti che difficilmente deludono, quando propongono inediti, grazie alla qualità del loro scrivere. Nel caso di Enrico Ruggeri, che con Alma torna in scena da solista dopo la parentesi- Decibel a tre anni da Un viaggio incredibile, l’ispirazione è però solo parte di quanto assicura agli appassionati: perché il cantautore milanese fa da sempre soprattutto musica intelligente; e Alma, cd magnifico, si issa nel suo repertorio quale vetta assoluta per (appunto) ispirazione e intelligenza, ma anche profondità e spiritualità. Negli undici brani dell’opera rock distorto o battente, echi new wave, impressionismo d’autore e cantautorato riflessivo si alternano donando alla scaletta vasti arcobaleni di suggestioni: fra cui quelle della delicata Un pallone (con carezze metalliche al dramma ispirato dal bimbo pakistano Iqbal Masih, icona dello sfruttamento minorile sul lavoro), quelle della spettacolare e misteriosa Il labirinto, quelle della struggente e bellissima L’amore ai tempi del colera. Ma in un percorso centrato sulla riflessione sui valori e la solitudine dilagante nell’oggi, volano persino più alto dei citati gioielli Forma 21, sublime-feroce racconto della morte di Lou Reed che illumina sul senso del passaggio dell’uomo dalla vita terrena all’Oltre, e la strepitosa Il punto di rottura: ballata fascinosa, pensosa e fiera sul coraggio di non buttarsi mai via. Ora il Ruggeri del 2019, ispiratissimo, oserà anche un doppio tour: dal 14 aprile alternando i teatri ai club, nei primi con piano-chitarrafisarmonica- tromba e repertorio declinato in acustica e nei secondi con chitarre-bassobatteria- tastiere per la propria versione rock. Ma è dal ’90 che, come da lp di allora, Rouge si dice diviso tra «falco e gabbiano»: entrambi, ora, in pieno volo.

In estate ha bloccato il tour per malattia: come sta?
Bene, era il classico male del cantante: un doloroso polipo alle corde vocali tolto, esaminato, non c’era niente. Qualche settimana fa sono anche uscito illeso da un pauroso incidente d’auto: la vita è così…

Queste esperienze hanno inciso, sulla scrittura di un cd come Alma?
Sicuramente, c’è molta spiritualità in più: penso che diversi pezzi piaceranno al cardinale Ravasi, che fece un gradito endorsement su di me a Sanremo 2018.

Come nasce il brano sulla morte, Forma 21?
Da quanto Laurie Anderson ha raccontato degli ultimi attimi di Lou Reed: anch’io ho dovuto veder morire qualcuno, e l’ultima espressione è uno stupore per qualcosa che non si ha tempo di raccontare. Ho messo il brano a fine cd come piccolo insegnamento, per me e chi vorrà ascoltarlo: è quello che mi ha emozionato di più scrivere, e trae conclusioni da condividere.

Ma qual è oggi il suo rapporto con l’oltre, la morte, Dio?
Sono temi meno lontani, a causa del tempo che passa: non mi ero mai immaginato sessantenne e ora ci sono. Sono temi complicati, però, anche se già pensarci credo sia importante. La fede? In altalena come per tanti: a volte pensi non sia possibile che le cose vadano così, a volte ti dici che c’è senz’altro un disegno più ampio di quello che possiamo scorgere.

C’è molta solitudine, nei pezzi di Alma: giusto?
È vero, anche se per me a volte essere soli nella confusione è un premio. Però ci si percepisce soli spesso, oggi. Si fa fatica a trovare affinità, nel mondo superficiale e incattivito nel dibattito sociale, politico, sportivo. Ma Alma è un viaggio nell’anima sorridente, mai cupo: guardarsi dentro è sempre e comunque positivo, e come canto in Come lacrime nella pioggia solo apparentemente resterà poco di noi, senz’altro non tutto andrà perduto.

Il brano che cita è musicato da suo figlio, Pico Rama: che prospettive vede per i giovani nel-l’arte?
Credo che oggi troppa arte sia mera rivalsa sociale, sento interviste di cantanti che sembrano calciatori: ce l’ho fatta, ho riempito il palasport più di te, ho fatto soldi… Non è arte. Ma è dura pretenderne, da un ragazzino del sud che vince un talent. Può solo sperare di vedersi passare in radio per far svoltare la famiglia. Solo chi non ha necessità economiche è destinato a fare cose belle, è così da secoli.

Quindi per lei, che di punk se ne intende, il rap non è come le ribellioni in musica di quarant’anni fa…
Nulla a che vedere. Anzi lo reputo un’occasione mancata: è finito in mano a chi mira al mercato degli undicenni, che vogliono cose solo in apparenza trasgressive. Manca completamente il livello più alto di scrittura e lettura che era tipico del punk.

Lei in Supereroi inserisce invece proprio più livelli di lettura, denunciando argutamente e facendo satira allo stesso tempo: ci sono supereroi, oggi?
Sono quelli del mercato, calciatori tatuati: poi ci sono sempre persone che difendono la loro dignità, se restiamo al calcio Totti o Zanetti sono supereroi del mercato ma anche belle persone. Altri nient’affatto.

Ha dichiarato che per lei far musica salva: anche le canzoni di questo disco l’hanno salvata?
Sì, sono servite tutte. Aiuta, scavare nelle parti più sofferte della vita e dell’anima: facendone musica superi problemi, metti a fuoco complessità.

Ma quando il pubblico queste sue canzoni terapeutiche scritte per sé stesso le fa proprie, come la prende?
Capii al secondo lp che non ero strutturato per scrivere per tutti: che avrei avuto sempre cose da dire ma senza mai riempire stadi. Il mio pubblico sono persone che mi somigliano, con cui andrei a cena, le mie canzoni non finiscono in mani sbagliate. Certo alcune sono diventate notissime, ma sono sempre stati episodi piacevoli quanto non cercati.

Nel cd canta pure Il costo della vita: a 60 anni qual è il costo della musica, per Enrico Ruggeri?
Dimenticare quanto si lascia a casa pur di andare a suonare o scrivere: è il prezzo più alto, i giorni persi per stare con i figli e con gli affetti.

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