giovedì 3 dicembre 2015
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La nebbia e la luce. Susanna Tamaro vive nei pressi di Orvieto. Nebbia e luce sono due condizioni usuali, da queste parti: in questa stagione è frequente viverle entrambe nella stessa giornata. E spesso, quando il sole si apre un varco nella coltre bianca, è luce all’improvviso e gli occhi riescono a cogliere nella campagna cose che prima non si vedevano o non apparivano nel loro pieno splendore. Così, spiega lei, «questa società incapace di discernere il bene dal male, di riconoscere la propria carenza d’amore e di perdonare, vive in una nebbia perenne, in un limbo indistinto ». Eppure la luce è lì, a portata di mano, basta solo aprire la porta del cuore al perdono di Dio, «quel perdono permette di rinascere, di vedere le cose in una luce nuova». E non è certamente un caso che alcuni degli scritti più famosi della Tamaro portino nel titolo la parola cuore e altri, come Anima Mundi e l’autobiografico Ogni angelo è tremendoaffrontino il tema difficile e attualissimo della misericordia e del perdono. Oggi si parla tanto di perdono: forse con troppa facilità. «Da qualche tempo c’è un po’ troppo perdonismo, una superficiale melassa mediatica in cui si parla troppo di perdono e fuori luogo. Questo genera confusione. Il perdono è un percorso lungo, difficile, doloroso in cui bisogna mettersi in gioco con le nostre fragilità». Forse, se avessimo più consapevolezza delle nostre fragilità... «In Anima Mundiil protagonista vede le persone che lo hanno fatto soffrire nel momento in cui sono nate, nel momento in cui si sono aperte alla vita, allora capisce che siamo tutti legati da quella stessa fragilità. Questo cambia alla radice il suo modo di relazionarsi con loro e finalmente apre la strada alla misericordia». Uno scrittore si confessa attraverso i suoi libri? «In ogni nostro scritto c’è sempre un po’ di noi stessi. Molto, però, dipende dall’atteggiamento di fronte alla scrittura: se non si scrive per intrattenimento, ma per vocazione, cercando la verità e facendo i conti con ciò che siamo, allora sì, scrivere è un po’ raccontare se stessi». Per lei? «Per me è un viaggio verso la verità, che va cercata nel profondo del proprio essere. Solo così si riesce a scrivere libri di letteratura, cioè legati alla profondità dell’uomo. È un percorso difficile, duro, ascetico, solitario, in cui non puoi mai mentirti. Molti scrittori finiscono alcolizzati per questa energia della parola, che lacera». Viene in mente la Lettera agli Ebrei in cui si dice che la Parola è affilata come una spada. «Le parole che escono dall’interiorità sono sempre come lame affilate. Se vuoi incidere nell’animo delle persone, se vuoi dare emozioni profonde devi scavarti dentro per affilare le tue parole, le devi usare con precisione. Devono essere parole per le quali poi chi ti incontra ti dice che leggendoti ha capito una parte di se stesso che gli era rimasta nascosta. In questo senso scrivere diventa un esercizio ascetico e di umiltà. Non devi cedere ai narcisismi. Devi eliminare tutta la zavorra che toglie potenza alle parole. Tanto più oggi che si usano in sovrabbondanza, le parole vanno calibrate. E per farlo bisogna fare silenzio intorno». Il rapporto di Susanna Tamaro col perdono?«Quando hai avuto un’infanzia carente e devi perdonare i tuoi genitori incapaci di amare è duro sopravvivere in questo mondo e se ne esce solo col perdono, che è un percorso difficilissimo. Ma il fatto che prima che mio padre e mia madre morissero io sia riuscita a riconciliarmi con loro è stata una grande grazia. La grazia del perdono porta serenità». Non c’è altra via oltre a quella del perdono? «La maggior parte delle persone passano anni in terapia per risolvere questo problema. In alcuni casi la psicanalisi è positiva, ma spesso è molto dannoso questo vivere attaccati al passato in un’analisi ossessiva di ciò che è stato. Diventa una sorta di malattia. Per poi giustificare la proprie carenze come risultato delle carenze dei propri genitori. Ma questa è una strada di prigionia, non di liberazione. I tuoi genitori ti hanno messo al mondo e la vita è un dono comunque, e comunque ti appartiene: bisogna riconciliarsi con la vita». Questa società non è aperta al perdono? «Non è una società che educa al perdono. Non perché viva nell’odio, ma perché vive nell’indifferenza, nell’indistinzione fra bene e male. Non c’è più riferimento a un aldilà. Anche la Chiesa ha smesso di parlarne». Di aldilà? «Sì! E questo fatto che la Chiesa non parli più di vita eterna mi lascia esterrefatta. Siamo così sicuri che non ci sia un giudizio finale. Se non parla di questo, la Chiesa che senso ha? Essere cristiani che senso ha? È un grande equivoco questa logica che ci porta a non parlare dei Novissimi. In questo modo il cristianesimo diventa un parlare per nascondere un vuoto, e quel vuoto la gente lo vede. Si può lavorare per Emergency, essere buoni, aiutare gli altri, non uccidere nessuno, prendersi cura degli animali ed essere vegetariani senza essere cristiani. Le persone cambiano davvero quando incontrano chi è illuminato dalla fede, dalla gioia della resurrezione. Il cristianesimo comincia dalla resurrezione di Gesù, dalla garanzia della vita eterna, dall’attesa dell’incontro con la Misericordia. Ma spesso trovo difficoltà a trovare un prete in confessionale. Solo i grandi santuari lo garantiscono». La gente desidera confessarsi? «Le persone hanno un’idea falsata della confessione, che non è un “sei stato bravo o no”. Il moralismo non è cristianesimo. Quando da bambina mi sono confessata la prima volta non sapevo che peccato dire e allora ho detto: “Ho rubato la marmellata”. Poi tornando al banco ho pensato che a me non piace la marmellata e che avevo detto una bugia: finalmente un peccato vero da confessare. Tante persone hanno questa idea della confessione. Ma la confessione è una via dell’apertura del cuore al pianto, alla liberazione: incontro la Misericordia e piango per la mia miseria. Ma...». Ma...? «Ma se ci sentiamo nel giusto, se siamo soddisfatti di noi stessi che bisogno abbiamo di Dio? Ma se non capisco che il peccato è mancare il centro della mia vita che è l’amore; se non capisco che meno vivo nell’amore più manco il senso vero della vita come posso essere consapevole della mia miseria? Come posso desiderare di ricollegarmi alla sorgente dell’amore che è nel perdono della confessione?». Cosa vuol dire essere perdonati da Dio? «Il perdono permette di rinascere, di ricalibrare la vita intorno all’amore, di guardare le cose con uno sguardo nuovo. E Dio bussa costantemente alla porta, è la disponibilità del nostro cuore a fare la differenza. È la conversione. Ma se non c’è sconvolgimento del cuore non c’è conversione. Questo sconvolgimento è la potenza rivoluzionaria del cristianesimo, che fa riemergere dalla nebbia, dal limbo indistinto delle nostre esistenze».
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