martedì 19 maggio 2009
Fino a che punto il Corano riflette alcune parti dei libri biblici, sia ebraici che cristiani? Un saggio del biblista stimato da Ratzinger, Joachim Gnilka, identifica alcuni riscontri Dall’Antico Testamento vengono 22 citazioni letterali. Mentre 7 degli 8 passi tratti dal Nuovo Testamento derivano dal testo di san Matteo
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Il Talmud afferma: «Gli inizi sono sempre difficili». Anche da decifra­re, si potrebbe aggiungere: come è nata una religione? Come è stato scrit­to un testo fondativo di un credo reli­gioso? Domande cui la riflessione teo­logico- esegetica cristiana ha dato da tempo alcune risposte sul cristianesi­mo stesso, con l’utilizzo del metodo storico-critico che Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazaret ha definito «indi­spensabile a partire dalla struttura della fede cristiana» basata sulla sto­ria. E per l’islam? Quali sono i traguar­di cui la riflessione critica sul Libro sa­cro musulmano può condurre, so­prattutto rispetto al mondo cristiano coevo a Maometto? A questo interrogativo prova adesso a dare una risposta, con dotta sottigliez­za accademica e perspicace procedi­mento intellettuale, un famoso esege­ta cattolico, Joachim Gnilka, che lo stesso Joseph Ratzinger, nel suo libro cristologico, ha definito autore di uno dei «più im­portanti e recenti libri su Gesù» per il suo Gesù di Nazaret. Annuncio e Sto­ria (Paideia). Ora questo studioso tedesco – docen­te di studi neotestamen­tari a Münster e Monaco – percorre il delicato cri­nale dell’analisi compara­tiva tra l’incipiente espe­rienza islamica e il mondo cristiano dei secoli VI e VII d. C. Già autore di un apprezzato Bibbia e Corano (Anco­ra), Gnilka ha suscitato scalpore in Germania e in Francia – dove è appe­na stato pubblicato da Cerf – per Qui sont le chrétiens du Coran (pp. 175, euro 18), dove analizza le radici cri­stiane del Corano. Quale il filo inter­pretativo perseguito da questo finissi­mo ricercatore? La convinzione che le conosciute attestazioni di elementi cristiani nel Corano vadano vagliate con attenzione e in profondità, supe­rando facili concordismi restando a­perti a inediti traguardi conoscitivi. I testi, anzitutto: il Corano si riferisce ai cristiani chiamandoli nasara, che ri­manda al 'nazareni' del testo evange­lico. Epperò – segnala Gnilka – già nel Nuovo Testamento due erano i termi­ni indicanti chi si rifaceva al maestro di Nazareth: nazarei e nazorei. Ma quando sopraggiunge la nuova termi­nologia di 'cristiani' assegnata ai cre­denti ad Antiochia (vedasi gli Atti degli Apostoli), il termine 'nazorei' sta a in­dicare quei giudeo-cristiani ancora molto attaccati alle tradizioni ebrai­che e fedeli alla Legge, contro cui l’a­postolo Paolo «combatté» la sua bat­taglia di apertura missionaria ai paga­ni. Sono questi 'nazorei' quei «falsi fratelli» accusati da Paolo nella Lettera ai Galati (2,4), segnala Gnilka, per i quali «non c’è salvezza senza la Leg­ge ». Sorta a Gerusalemme, questa 'e­resia' cristiana primordiale non si tro­va più nella città santa a seguito della guerra giudeo-romana conclusasi nel 70 con la distruzione del Tempio. Scri­ve il Nostro: «Dopo il 135 non c’era più nessuna comunità giudeo-cristia­na a Gerusalemme. Essa venne rim­piazzata da una comunità pagano-cri­stiana installatasi poco a poco». Dove andarono quei giudeo-cristiani? La risposta può venire paradossal­mente da una lettura critica del Cora­no dove Gnilka riscontra una sovrae­sposizione di citazioni neotestamen­tarie del Vangelo di Matteo (notoria­mente di ambiente ebraico) e un’as­senza pressoché totale di elementi paolini. Qualche esempio? Matteo 6,1 allorchè Cristo esorta dal non pratica­re la giustizia per essere visti dagli uo­mini, pare ripreso dalla sura 2,264 del Corano: «Non vanificate le vostre ele­mosine con rimproveri e vessazioni, come quello che dà per mostrarsi alla gente ». Anche il riferimento sulla fidu­cia in Dio che assiste anche gli uccelli del cielo accomuna Matteo (6,26) e il Corano (sura 16,79); e altre esemplifi­cazione testuali. In totale, il libro isla­mico presenta 7 citazioni letterali del vangelo matteano sulle 8 del Nuovo Testamento (il Vecchio è presente con 22 passi). Questa ripresa pressoché u­nivoca del Nuovo Testamento nella sola forma di Matteo fa dire a Gnilka: «Riteniamo che il Corano non presup­pone una conoscenza diretta degli scritti canonici neotestamentari», ma solo una parte di essi. Come gli eretici (nel caso, quei giudeo-cristiani non ri­conosciuti dagli apostoli) che – etimo­logicamente – 'scelgono' una parte della Scrittura e tralasciano il resto. Anche la presentazione che il Corano fa di Gesù – un profeta, colui che è stato crocifisso ma non ucciso, il rifiu­to della sua dignità di figlio di Dio, una sua certa natura 'angelica' – fa pro­pendere Gnilka nella convinzione che tali retaggi cristiani non siano canoni­ci bensì risalenti alla tradizione giu­deo- cristiana dei 'nazorei': «Il giu­deo- cristianesimo che qui ci interessa […] rifiuta di ricono­scere Gesù come fi­glio di Dio». Un ultimo, clamoro­so dettaglio suggelle­rebbe plasticamente l’ipotesi che l’islami­smo sia stato conce­pito da un grembo giudeo-cristiano: la questione della mo­schea di Omar, a Ge­rusalemme. «La scelta del luogo, il collocamento sopra la roccia santa sembrano indicare chiaramente il di­segno di legarsi alla tradizione ebrai­ca ». Non solo: una nuova traduzione di alcune iscrizioni all’interno della moschea e riferite non più a Maomet­to ma a Cristo – proposte da un ricer­catore anonimo firmatosi Christoph Luxenberg, rilanciato da Gnilka – pro­pugnano l’idea che la moschea fosse in origine un luogo di culto giudeo­cristiano, eretto in concorrenza con il Santo Sepolcro di matrice bizantina. Gnilka dunque si pone una questione di fondo: «L’islam è un pezzo stacca­tosi dal cristianesimo? Siamo ancora lontani dal poter rispondere a questa domanda».
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