martedì 3 dicembre 2019
Due libri pescano da Aristotele e in generale dal pensiero greco per insegnare, come dei manuali, a raggiungere la felicità
L'asino di Apuleio in un mosaico di scuola bizantina del V secolo

L'asino di Apuleio in un mosaico di scuola bizantina del V secolo

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Aristotele fu il primo filosofo a chiedersi che cosa sia la felicità, e come possiamo conseguirla. Da questa affermazione nasce un saggio che indica, nell’opera del maestro, una guida ancora attuale per la ricerca delle felicità. Per Edith Hall, nel suo Il metodo Aristotele (Einaudi, 288 pagine, euro 19,50), il pensatore greco è essenzialmente una guida a tale scopo, secondo il sottotitolo, “Come la saggezza degli antichi può cambiare la vita”: un mondo di formule, un ricettario, secondo le necessità e le richieste del nostro tempo. Un Aristotele un po’ diverso da come lo vedeva Dante, o secoli di pensiero. Certo, il padre della filosofia razionale guida anche alla ricerca della felicità, ma non necessariamente alla scoperta del suo elisir. Aristotele non è un guaritore, personal trainer di anima e corpo, custode del segreto della felicità. Segreto che per ogni filosofo, o non esiste, o resta sempre segreto, mistero, che anima sempre alla nuova ricerca. Giusto distinguere il suo pensiero da quello cupo degli stoici, o da quello catartico e fondamentalista dei cinici. E quando Aristotele, per citare un esempio dal libro, afferma che sesso, cibo e vino, senza eccessi, contribuiscono alla felicità individuale e della persona amata, manifesta rispetto per la vita fisica, ma non sta indicando una ricetta. Il saggio di Edith Hall esplora il pensiero del filosofo, e lo orienta sulla ricerca di una felicità di fatto mondana, temporanea, ametafisica.

Certo è lapalissiano sottolineare come rispetto al maestro Platone, Aristotele non consideri fallace la vita terrena, illusoria al confronto con il mondo delle Idee. Ma è riduttivo farne un pensatore privo di senso del tragico. Il tema della felicità, e della filosofia che sarebbe nata per consentire a tutti di conseguirla, anima un altro libro, dal titolo esplicito: Lezioni di felicità (Einaudi, pagine 148, euro 13,00) di Ilaria Gasparri, seguito da un sottotitolo ancora più appetibile e promozionale: “Esercizi filosofici per il buon uso della vita”. L’autrice parte da una domanda retorica: che cosa succederebbe se di punto in bianco decidessimo di conoscere noi stessi al modo degli antichi Greci? Risposta al quiz: risolveremmo problemi, ansie, dilemmi diversamente annebbianti, e nefasti. Che ogni problema del presente non possa essere affrontato solo nella dimensione del presente stesso, ma richieda una prospettiva più ampia, che riguarda il passato la tradizione, è constatazione sacrosanta e difficilmente contestabile. Ma l’affermazione che una parte del passato e della nostra tradizione contengano le soluzioni pronte a risolvere problemi di oggi, rivela atteggiamento semplificativo, quale quello della Hall rispetto ad Aristotele. Il mondo della filosofia greca sarebbe un formidabile ricettario di formule e verità utili a risolvere la ricerca della felicità, una volta per sempre. Di nuovo la filosofia usata come tesoro di ricette. In sintesi, non va trascurata, perché è utile.

Rispetto alla Hall Ilaria Gasparri ha il merito di scegliere, per le settimane terapeutiche in cui orchestra il libro, scuole filosofiche in sé già limitate da una prospettiva in parte utilitaria: cinque delle sei settimane sono immersioni nel pensiero eleatico, scettico, stoico, epicureo e cinico: da nessuna di queste scuole filosofiche nasce vertigine. Non si riferisce, l’autrice, e giustamente, al Socrate che non cerca la felicità ma il bene assoluto, e beve la cicuta pronto a volare come un bianco uccello nell’immortalità. Non c’é Platone, con l’ascesi del pensiero misticamente ardente allo spazio iperuranio, e le visioni estatiche delle Muse e delle Sirene, non c’è Plotino con il mistero dell’Anima e delle singole sue manifestazioni. Ma la prima scuola, quella pitagorica, non nasce affatto come filosofia pronta per l’uso, quale possono essere intese, seppur semplificando, stoicismo e cinismo: è alle origini del mistero del numero, del mito e rito in cui l’Oriente passa metamorfosandosi misteriosamente in Occidente. In linea di massima questo approccio semplificante e edificante al pensiero filosofico potrà condurre qualcuno alla felicità, ma a patto che egli si estranei, si alieni dalla complessità, dall’Ombra, dal mondo di Calipso, di Dante, di Shakespeare. Dalla zona di buio e passione in cui hanno origine poesia e filosofia.

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