Witold Pilecki - .
Infiltrato ad Auschwitz I, ad Oswiecim, per creare una rete clandestina di resistenza all’interno del campo nazista e raccogliere informazioni preziose da trasmettere agli Alleati. Una missione a dir poco suicida quella intrapresa dal sottotenente dell’esercito polacco Witold Pilecki, classe 1901 e originario di Olonet, in Carelia, al confine con la Finlandia, ma all’epoca sotto il dominio russo.
L’ufficiale di cavalleria, ottenuto l’avallo dei suoi superiori, il 19 settembre 1940 durante un rastrellamento della Gestapo a Zoliborz, a nord di Varsavia, si fece arrestare con il nome di Tomasz Serafinski. L’obiettivo era quello di effettuare una vera e propria operazione di intelligence mirata non solo a risollevare il morale dei prigionieri per la maggior parte ebrei, ma a far nascere una rete strutturata di persone che avrebbero potuto organizzare una rivolta armata dall’interno del campo per ottenerne il controllo anche nell’eventualità di aiuti dall’esterno.
Una possibilità, quest’ultima, che non si verificò mai nonostante la convinzione di Pilecki, promosso tenente mentre si trovava ad Auschwitz, di essere in grado con i suoi uomini di impadronirsi del lager. L’agente sotto copertura giunse all’interno dello Stammlager nella notte tra il 21 e il 22 settembre e avviò subito la Zow (Zwiazek Organizacji Wojskowych), organizzazione segreta articolata in gruppi di cellule che l’ufficiale chiamava “cinquine” e operanti indipendentemente l’una dall’altra. Una struttura disegnata così per scongiurare tradimenti in caso di cattura e di tortura da parte dei tedeschi. Pilecki, cattolico praticante e uomo di fede, non era nuovo ad attività resistenziali sin dall’occupazione della Polonia del settembre 1939 a opera dei soldati della Wehrmacht. Infatti con altri ufficiali aveva preso parte alla costituzione di una formazione clandestina chiamata Tajna Armia Polska (Tap), un vero e proprio esercito segreto polacco impegnato a contrastare le forze di invasione naziste. Niente a confronto con l’operazione di infiltrazione ad Auschwitz che portò Pilecki a stilare ben tre rapporti sulle atrocità e le ingiustizie che ogni giorno avvenivano dentro la fabbrica della morte gestita dalle SS di Adolf Hitler. Il militare era consapevole che la sua impresa era al limite delle possibilità, ma occorreva portarla a termine. Lo fece con coraggio già nell’ottobre del 1940, un mese dopo il suo internamento.
Attraverso un detenuto liberato riuscì a far filtrare il suo primo rapporto all’esterno che il 18 marzo 1941 giunse sui tavoli dell’Ufficio VI dello Stato maggiore dell’esercito polacco in esilio, immediatamente inoltrato ai britannici. Fu la rete messa in piedi da Pilecki a fornire alle autorità polacche le informazioni sul disumano trattamento inflitto ai prigionieri di guerra sovietici ad Auschwitz e sull’inizio dello sterminio di massa degli ebrei a Auschwitz–Birkenau. Tutte notizie che il governo polacco in esilio inoltrava agli altri alleati. Pilecki durante la sua attività non venne mai scoperto, neppure il 20 giugno 1942 quando ulteriori e importanti informazioni fuoriuscirono da Auschwitz attraverso la fuga di quattro prigionieri travestiti da soldati tedeschi, come scrive uno dei protagonisti, Kazimierz Piechowski, un ingegnere impegnato sin da ragazzo nello scoutismo, nelle sue memorie pubblicate nel 2004 con il titolo Bylem Numerem: swiadectwa z Auschwitz (Ero un numero – testimonianze da Auschwitz).
Fu però il Raport W a destare maggiore interesse rispetto agli altri dossier stilati da Pilecki e consegnati ai compagni. Infatti tra il 26 e il 27 aprile del 1943 l’ufficiale polacco riuscì a fuggire dal campo di prigionia per trovare rifugio presso un gruppo di partigiani di base a Nowy Wisnicz. Qui stese un rapporto iniziale di circa undici pagine e mezzo. Qualche mese dopo, nell’autunno del 1943, scrisse una versione più dettagliata utile al rapporto più esteso completato nel 1945 mentre prestava servizio presso il Secondo Corpo d’Armata polacco sotto il Comando generale britannico durante la guerra di liberazione per l’Italia. «Altri avrebbero voluto impadronirsene, ma secondo me la cosa giusta da fare è metterlo nelle sue mani generale – scrive il capitano Pilecki nella lettera di accompagnamento al Rapporto datata 19 ottobre 1945 e intestata al Maggiore Generale Tadeusz Pelczynski –. La prego di non trattarlo come un resoconto (puramente) sensazionalistico perché si tratta di esperienze estreme di tanti polacchi onesti». Ed aggiunge: «Nulla è stato esagerato, anche la minima bugia profanerebbe la memoria di quelle degne persone che persero la vita laggiù». Una missiva scritta prima del suo ritorno, per sua scelta, nella Polonia sottoposta a processo di sovietizzazione, in cui venivano perseguitati gli aderenti alla resistenza polacca.
Antinazista e anticomunista, venne giudicato con un processo sommario e poi imprigionato a Varsavia dove venne ucciso il 25 maggio 1948. La prima pubblicazione del Rapporto di Witold Pilecki è avvenuta nel 2000, 55 anni dopo la guerra. Una traduzione in inglese, curata da Jarek Garlinski, è stata pubblicata nel 2012 con il titolo The Auschwitz Volunteer: Beyond Bravery, tradotto in Italia con il titolo Il volontario di Auschwitz edito da Piemme. Esce in questi giorni, invece, Volontario ad Auschwitz (Newton Compton) il volume di 416 pagine scritto dal giornalista e reporter di guerra Jack Fairweather dove si raccontano le vicende e le azioni che spinsero il capitano Pilecki a denunciare l’orrore della Soluzione Finale nazista.