giovedì 28 settembre 2017
Pubblicati gli atti del convegno su Giacomo della Chiesa: il pontefice dell'«l’inutile strage» figura cardine nel rapporto tra cattolicesimo e contemporaneità
Benedetto XV, il primo Papa moderno?
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Nei due volumi raccolti sotto il titolo Benedetto XV. Papa Giacomo della Chiesa nel mondo dell’inutile strage, nati dal convegno internazionale promosso lo scorso novembre a Bologna dalla Fondazione per le Scienze religiose – opera diretta da Alberto Melloni e curata da Giulia Grossi e Giovanni Cavagnini (Il Mulino, pagine 1.216, euro 140) – non pochi dei novanta contributi inanellati sin da quello di apertura (la prolusione del Segretario di Stato Pietro Parolin), rendono ragione dell’intento sotteso a questo lavoro corale: sottrarre la figura del pontefice genovese dal cono d’ombra in cui è stato a lungo confinato dall’appellativo “papa dell’ inutile strage”.

E chi avrà la pazienza di arrivare alla fine di questi tomi o, senza perdersi, fermarsi sui capitoli dedicati a nodi cruciali di questo pontificato nella vita della Chiesa e della società, difficilmente potrà continuare a ricordarlo solo per quello. Sicuramente non potrà riproporre la definizione coniata da Fernand Hayward e ripresa da John F. Pollard (“il papa sconosciuto”); né potrà ora accontentarsi di profili dalle tinte agiografiche (sempre pronti a far leva sull’immagine del “profeta di pace”). Infatti, se è innegabile l’importanza della Nota ai capi dei popoli belligeranti del 1° agosto 1917, con cui stigmatizzò il conflitto con parole passate alla storia (l’aveva capito subito il suo primo biografo, Francesco Vistalli, scrivendo già nel 1928 che, nell’immaginario del popolo, Benedetto XV sarebbe stato ricordato per il suo grido avverso “all’inutile strage”), essa non esaurisce la complessità di un pontificato concentrato su diversi fronti, e la cui eredità arriva ai nostri giorni insieme a quella di altri “uomini di Benedetto XV” (Eugenio Pacelli, Edmund Aloysius Walsh, padre Gemelli...).

In ogni caso, con Giacomo della Chiesa, le “chiavi” più rappresentative del papato, appaiono quelle da lui usate per entrare nel XX secolo dove, innanzi a scenari inediti, si trova a confrontarsi realmente con una domanda di autorità universale postagli da un mondo che tra l’altro non si riconosce più nei fondamenti cattolici. Così, con lui, il papato si trova a riconfigurarsi come una risorsa morale, un riferimento superiore anche per coloro che non si riconoscono nella sua autorità: fatto che in precedenza gli era rimproverato. Stretto fra l’ancoraggio rassicurante al passato e le sfide di una modernità dal volto brutale, Benedetto XV finisce per offrire risposte non sempre univoche, sulle cui premesse, cause, implicazioni, conseguenze, indagano diversi saggi qui presentati. Analizzando ora gli effetti sui singoli episcopati nazionali lacerati tra la fedeltà a Roma e il patriottismo di guerra (subito preferito), ora l’esclusione della Santa Sede dai negoziati di Versailles dopo la fine delle ostilità (a dispetto della mission impossible del nunzio Bonaventura Cerretti). Sottolineando differenti registri di pronunce fra l’appello papale alla pace lanciato quando anche in Vaticano si pensava a un breve conflitto, e il giudizio a tragedia prolungata, nell’evidenza dei drammatici costi in termini di vite umane alle quali il papa presta la sua voce (pur evitando interventi in punta di dottrina circa teorie di guerre giuste e ingiuste). E andando oltre la presa d’atto di presunti fallimenti, ad esempio la mancata partecipazione vaticana alle dispute e alle riorganizzazioni territoriali di Parigi (una delle eredità più amare della Conferenza di pace): un fatto che, se al momento impedì alla Chiesa di prendere posizione, le consentì poi, nel periodo tra le due guerre, maggior peso diplomatico quale ente umanitario non governativo.

Non va però dimenticato che soprattutto la prima parte dell’opera, ripercorse le tappe biografiche di questo giovane nobile ligure – la sua vocazione, gli studi e la formazione da alunno esterno in seminario e poi alla Regia Università a Genova, al Capranica e all’Accademia dei nobili ecclesiastici, l’avvio della carriera diplomatica sotto l’ala del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, l’ascesa da minutante a sostituto della segreteria di Stato – sino alla nomina a Bologna, proprio nei capitoli dedica- ti all’episcopato nella diocesi felsinea (dove rimase dal 1907 sino al conclave che lo elesse papa nel 1914), evidenzia punti che Della Chiesa – forte della sua duplice esperienza, diplomatica e pastorale – avrebbe affrontato da pontefice. Tra questi, potendo qui fare solo alcuni esempi, il contenimento della repressione antimodernista (godrà poi la sua attenzione sin dall’enciclica programmatica Ad beatissimi con il tempo dell’antimodernismo al suo scadere e lo scioglimento del Sodalitium Pianum); o la considerazione per la strumentazione giuridica (e sarà proprio Benedetto XV a portare a compimento il primo Codex Iuris Canonici).

Ma dovremmo pure ricordare la capacità di mediazione sul terreno politico del vescovo (attraverso accordi con il frastagliato cattolicesimo bolognese e relazioni con i liberali) e del papa (che revoca il non expedit), per allargare poi l’orizzonte, come in queste pagine, alla pluralità di interventi diplomatici e politici internazionali, al campo delle missioni, alle conseguenze delle strategie maturate nei Sacri Palazzi sullo scacchiere dell’Europa dell’Est (a lui si deve anche cent’anni fa la fondazione del Pontificio Istituto di Studi Orientali) e nelle aree di crisi vicine e lontane, America Latina e Asia comprese. Insomma, un’opera monumentale, che va in libreria il 12 ottobre e viene presentata oggi a Bologna alle 18 nella sede Carisbo (con gli interventi di Leone Sibani, Umberto Mazzone, Massimo Toschi, Stefano Bonaccini e dell’arcivescovo Matteo Zuppi). Un mosaico che tessera su tessera ricostruisce la storia del primo rampolliano – il secondo sarà Angelo Giuseppe Roncalli – diventato papa dallo sguardo universale.

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