domenica 3 marzo 2019
75 anni fa il primo numero del foglio clandestino che da Brescia giungeva in tutto il Nord fornendo un punto di vista cattolico alla Resistenza. Tra i collaboratori anche il beato ucciso nei lager
Uno dei primi numeri de “Il ribelle”

Uno dei primi numeri de “Il ribelle”

COMMENTA E CONDIVIDI

All’inizio del marzo 1944, nel pieno della guerra partigiana, fu pubblicato a stampa a Milano il primo dei ventisei numeri di 'il Ribelle', un foglio sino ad allora diffuso in ciclostile con il titolo 'Brescia libera'. Era nato in quella città pochi mesi prima, tenacemente compilato da un gruppo di patrioti, alcuni dei quali nei mesi della Resistenza furono arrestati: Carlo Bianchi, presidente della Fuci milanese, fucilato a Fossoli il 12 luglio 1944, Franco Rovida, Rolando Petrini e Luigi Monti scomparsi a Mauthausen all’inizio del 1945, e Teresio Olivelli che morirà nel Lager di Hersbruck il 12 gennaio 1945, a causa di percosse infertergli per aver soccorso e difeso un compagno di prigionia. È stato tra i frutti più importanti della stampa clandestina nella Resistenza, un foglio che faceva innervosire gli occupanti tedeschi e i loro complici fascisti. 'Il Ribelle' era una voce dichiaratamente cattolica che non rifiutava la collaborazione degli altri elementi del Comitato di Liberazione Alta Italia, da cui era sostenuto, purché non si inneggiasse alla violenza in sé, alla vendetta e all’odio contro il nemico, ma si tenessero ferme le ragioni morali dell’opposizione all’invasore. Se ne pubblicarono, come s’è detto, ventisei numeri, diffusi in tutta l’Italia del Nord, e accanto a essi dodici 'quaderni' monografici. Uscivano quasi regolarmente - una specie di miracolo, considerando le difficoltà imposte dalla situazione -, fra le dieci e le quindicimila copie, stampate prima a Milano, poi a Lecco, ma datate da Brescia.

L’anniversario dalla fondazione di 'il Ribelle' restituisce la memoria di un periodo drammatico per il nostro Paese quando, dal settembre 1943 all’aprile 1945, la Resistenza popolare impegnò nella repressione una decina di divisioni dell’invasore tedesco e la totalità delle truppe del regime fascista di Salò, al servizio dell’occupante. Ricorda, inoltre, il contributo culturale e di pensiero che alla liberazione è stato offerto dal mondo cattolico, dai suoi caduti, dalla comunità dei credenti che sosteneva i partigiani, dall’opera di quanti soccorrevano i perseguitati. Con figure esemplari di testimoni, come appunto Teresio Olivelli. Non soltanto combattente ma anche 'firma' di 'il Ribelle', al quale ha collaborato nei primi mesi con scritti e pagine che ben rappresentano l’opposizione dei cristiani alle tirannie. Non si tratta di una eccezione culturale: in molti dei ventotto Paesi sotto il tallone nazista cattolici e protestanti conducevano la loro lotta anche per mezzo della stampa, come in Francia con 'Témoignage Chrétien' e in Olanda con 'Il Canzoniere dei pezzenti'; e fiorivano numerose altre iniziative che non lasciavano tranquilli gli invasori. Olivell morirà a Hersbruck quindici giorni dopo aver portato conforto, alla vigilia di Natale del ’44, a un compagno gravemente infermo, Odoardo Focherini, spirato quella stessa sera. Dei due non restano reliquie fisiche: i loro corpi, com’era costume nei Lager, furono inceneriti. Rimane in compenso la commovente icona dell’incontro, in un luogo di disperazione come un campo di concentramento, di due credenti ai quali la Chiesa riconoscerà in seguito il titolo di beati.

Prima di essere arrestato nell’aprile del ’44 Olivelli aveva fatto in tempo a collaborare ai due iniziali numeri di 'il Ribelle' scrivendo, sotto lo pseudonimo di Cursor, una sorta di manifesto del combattente cristiano: «Ribelli: così ci chiamano, così ci vogliamo. Il loro disprezzo è la nostra esaltazione. Il loro 'onorato' servaggio alla legalità straniera fermenta l’aspro sapore della nostra libertà. La loro sospettosa complice viltà conforta la nostra fortezza. Siamo dei ribelli: la nostra è anzitutto una rivolta morale». «Lottiamo – aggiunge – per una più vasta e fraterna solidarietà degli spiriti e del lavoro, nei popoli e fra i popoli, anche quando le scadenze appaiono lontane e i meno tenaci si afflosciano: a denti stretti anche se il successo immediato non conforta il teatro degli uomini, perché siamo consapevoli che la vitalità d’Italia risiede nella nostra costanza, nella nostra volontà di resurrezione, di combattimento, nel nostro amore ». Di 'il Ribelle' una copia veniva regolarmente mandata (quasi una beffa) al commissario capo Ugo Osteria, che la trasmetteva ai comandi tedeschi.

Si trovarono sempre nuovi redattori al posto di quelli arrestati, torturati, uccisi. Nello stesso tempo con i citati 'quaderni' si cercava di impostare in modo razionale una visione politica del futuro, come ad esempio con lo «Schema di discussione di un programma ricostruttivo di ispirazione cristiana», quasi certamente dovuto a Olivelli e dal quale oggi si potrebbe forse imparare qualche cosa per la gestione della politica. Resta, oltre tutto, un documento che fa parte della coscienza morale dell’umanità, La preghiera del ribelle: «Signore che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce - così inizia quel celebre testo -, segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dominanti, la sordità inerte della massa, a noi oppressi da un giogo numeroso e crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte di libere vite, dà la forza della ribellione… ». Per concludere: «Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: