giovedì 31 agosto 2017
Dietro l’exploit del 18enne bomber del Perugia c’è il movimento di Pyongyang in cui le ragazze sono già ai vertici mondiali
Nord Corea, le campionesse del mondo under 17

Nord Corea, le campionesse del mondo under 17

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Da quando a Pyongyang armeggia il paffutissimo “Dittatore” Kim Jong-un, ogni giorno la Nord Corea si guadagna le prime pagine di tutto il mondo, per ragioni purtroppo atomiche e assolutamente non sportive. Del calcio nordcoreano invece, qui da noi si parla in media ogni mezzo secolo. Tanto infatti è passato dalla “Corea italiana” (la clamorosa eliminazione degli azzurri di Mondino Fabbri al Mondiale del Cile 1966, sconfitti 1-0 dalla nazionale nordcoreana), al debutto nella nostra Serie A di Han Kwang-Song. Il talentuoso 18enne attaccante di Pyongyang lo scorso 2 aprile ha esordito a Palermo con la maglia del Cagliari e sette giorni dopo, contro il Torino, ha realizzato la storica prima rete di un nordcoreano in un campionato di calcio che conta del vecchio continente. Un momento catartico, che si è ripetuto subito alla prima giornata del torneo di serie B: Han, dato in prestito dal Cagliari al Perugia del presidente Santopadre, ha messo a segno un altrettanto storica tripletta contro la Virtus Entella. E così, il dispiacere secolare che ci portiamo dietro dal beffardo gol del finto dentista, il caporale Pak Doo-Ik, si è trasformato nel sorriso fanciullesco di Han che ha coronato un doppio sogno: portarsi a casa il pallone - per i tre gol segnati - e indossare i jeans prodotti dall’azienda del suo presidente. Quei jeans, simbolo del nemico americano, vietati dal regime di Kim Jong-un, è stato il primo “sgarro” antisocialista che si è concesso l’adolescente Han quando arrivò in Italia, primo scalo proprio a Perugia. Spedito, nel 2015, (con una squadra di giovani connazionali, classe 1998), dal ministero dello sport della Nord Corea nel capoluogo umbro per prendere parte all’Academy Ism di Paolo Rossi. Un viaggio solo andata per lui, ma anche per Jong Chang Bom (ora alla Maceratese) e Ri Chol Song, finiti in prova nella Primavera del Napoli e Song Hyok Choe, anche lui tesserato dal Perugia. Han e Choe, «due bravissimi ragazzi, molto attenti e disciplinati in campo e fuori», sottolinea Daniele Gregori, il vice allenatore del Perugia guidato da Federico Giunti.

I due grifoncelli asiatici, rappresentati dal procuratore Sandro Stemperini, sono l’espressione di quella meglio gioventù nordcoreana inserita in un programma governativo sul calcio. Piano varato sulla scia della grande propaganda avviata dalla “ex amica” Cina e voluto dallo stesso Kim Jong-un. Il Dittatore è sensibile al football, si proclama tifoso del Manchester United e ammiratore dell’ex red devilWayne Rooney. Anche se poi tra i febbrili 90 minuti di una partita nello stadio che reca il suo nome (il Kim Jong-un, impianto da 70mila posti) antepone un bel match di basket, specie se tra vecchie glorie dell’Nba, come l’amico Dennis Rodman, uno dei pochi americani ammessi alla corte di Pyongyang. Il principe dei guerrafondai ha capito che per vincere le battaglie planetarie serve una buona arma di persuasione popolare come il calcio. Per questo dopo l’eliminazione lampo della Nord Corea ai Mondiali di Sudafrica 2010, oltre a punire severamente le “schiappe nazionali” - umiliazione pubblica al Palazzo della Cultura - ha avviato un progetto di rifondazione pallonista. Con l’assist della Fifa sono state incentivate le accademie di Stato. La militaresca Pyongyang International Football School attualmente forma oltre 200 giovani aspiranti calciatori, selezionati nel paese con una campagna di reclutamento monitorata dallo stesso Dittatore che all’inaugurazione ha proclamato: «I nuovi Messi, da ora, cresceranno qui, a Pyongyang». Gigantismo ideologico, quanto il “May Day Stadium”, il nuovo Maracanà del terzo millennio: l’impianto più capiente del mondo con i suoi 150mila posti. All’interno si tengono eventi sportivi, calcio compreso, ma soprattutto parate celebrative del regime che, per coreografie e la massa di claque, farebbero impallidire qualsiasi cerimonia olimpica.

Un regime che, non tanto per spirito di emancipazione quanto per ragioni di visibilità internazionale, ha a cuore anche il calcio femminile. Le calciatrici di Pyongyang sono al 9° posto del ranking Fifa, mentre la Nazionale maggiore maschile, dopo l’eliminazione dal girone di qualificazione dei Mondiali di Russia 2018, annaspa intorno alla 120ª posizione. Agli ultimi Mondiali under 17 e under 20 invece le nordcoreane si sono aggiudicate il titolo iridato, con tanto di ricevimento al Palazzo del governo. Non avrà questo privilegio il ct della Nazionale maschile, il 54enne ex bomber Jørn Andersen, ingaggiato su precisa indicazione dittatoriale: «ha passaporto tedesco (oltre che norvegese)». Andersen che ha un contratto fino alla primavera del 2018 ha sostituito l’ungherese Pál Csernai che aveva stoicamente resistito, dal 1992 al all’11 maggio del 2016, andando in panchina appena undici volte (bilancio: cinque vittorie). Colpa ovviamente dello scarsissimo fairplay della famiglia totalitaria nordcoreana che, fino a pochissimo tempo fa, vietava le trasferte nei paesi nemici: praticamente nella maggior parte del mondo. Nonostante siano passati oltre settant’anni dalla “scissione” con Seul, le ultime sfide contro i “cuginastri” molto più competitivi della Corea del Sud si sono sempre disputate in campo neutro, perché la bandiera degli avversari non poteva essere esposta nello stadio di Pyongyang. Ma grazie alla spinta propulsiva di Han, Choe e le lore sorelle, le cose stanno lentamente cambiando. Gli investimenti per strutture educative e sull’impiantistica sportiva sono aumentati del 20%. Il campionato interno è passato da un manipolo di club ultradilettanti a una dignitosa serie A a 14 squadre, e da poco i loro dirigenti (ovviamente proni al grande Dittatore) hanno ottenuto il placet per le anche per le trasferte internazionali. Porte aperte dunque ai talenti che per gentile concessione ministeriale possono tentare la fortuna nell’eldorado europeo. Piccolo particolare: sembra che il 70% dei loro ingaggi vengano trattenuti nelle casse dello stato nordcoreano.

Uno dei tanti misteriosi lacci dittatoriali sulla cui veridicità potrebbero rispondere soltanto i due gioielli “italiani” e gli altri nazionali all’estero: Pak Kwang-Ryong che milita nel Sant Pollen (Austria), Jong Il Gwan al Lucerna (Svizzera) Ri Yong-Jik e An Byong-Jun nei club giapponesi del Kamatamare Sanuki e il Roasso Kumamoto. Il pubblico degli appassionati del calcio intanto cresce e si entusiasma allo stadio, ma con moderazione. Anzi «partecipa all’evento quasi in religioso silenzio», ha commentato il telecronista della Bbc assistendo al derby Pyongyang City-April 25. Quest’ultimo, è il club che nell’intitolazione evoca il giorno della festa nazionale, l’anniversario della fondazione dell’Esercito Popolare di Corea. I fedelissimi di Kim Jong-un negano che il calcio sia al servizio del regime. Difficile invece cancellare le immagini del report in cui figurano operai nordcoreani che per 100 dollari al mese vengono sfruttati nel cantiere del nuovo stadio - sede Mondiale - dello Zenit San Pietroburgo. La Nord Corea a Russia 2018 non ci sarà, ma un po’ di quella schiavitù generata dal pallone di regime è già presente, anche sugli spalti.

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