mercoledì 21 agosto 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Il vecchio Verdi aveva visto giusto, anche se in effetti il merito dovrebbe andare a Temistocle Solera, il librettista del Nabucco. Che non è soltanto una metafora risorgimentale in chiave veterotestamentaria, ma la raffigurazione di un contrasto più ampio e, in definitiva, universale. Da una parte l’impero di Babilonia, espressione dello Stato che così nasce e fiorisce in Mesopotamia, dall’altra il popolo d’Israele, incapace - nonostante tutti i suoi errori e tradimenti - di pensare se stesso al di fuori di una comunitaria dimensione di destino. Per rendersi conto della differenza basterebbe risalire ai rispettivi racconti delle origini. «Per le culture mesopotamiche – spiega l’archeologo Giorgio Buccellati – gli dèi creano prima la città e solo in un secondo momento si dedicano agli uomini, senza nome, che vengono deputati a svolgere le varie funzioni. In Genesi la prospettiva è polemicamente rovesciata: Adamo ed Eva sono anzitutto persone ed è la loro relazione che dà fondamento alla convivenza».Fuori è nuvolo, su Rimini pioviggina e l’argomento, vagamente austero, parrebbe invitare al disimpegno. E invece la platea del Meeting non si lascia sfuggire una battuta del dibattito su “Il costituirsi della società in Mesopotamia e nella Bibbia: persona e Stato… ieri e oggi”. Il moderatore dell’incontro, Robi Ronza, è noto per il suo understatement, ma perfino lui per una volta cede all’entusiasmo: «Questa è una ricerca che apre nuovi orizzonti – dichiara –, interi libri andrebbero riscritti a partire da questi risultati». Il riferimento è al volume Alle origini della politica, che lo stesso Buccellati ha appena pubblicato da Jaca Book e che si inserisce nel più vasto affresco del Paese della Quattro Rive, in cui lo studioso sta ricapitolando un percorso di scavo e interpretazione durato decenni. La tesi centrale? Quelle che il divulgatore Ceram definiva “civiltà sepolte” sono in realtà le civiltà dalle quali ancora dipende la nostra visione del mondo. Dell’uomo e della società, appunto.Per confermarlo, Buccellati rinuncia a intonare in solitudine la sua romanza di specialista e si inserisce in un fitto recitativo con il biblista Ignacio Carbajosa Pérez e con il costituzionalista Andrea Simoncini. L’obiettivo è subito evidente: non lasciatevi fuorviare dall’esotica lontananza degli Assiri. Qui si parla di noi, magari interrogandosi su che cosa significa dire “noi”. Buccellati è di una chiarezza esemplare: «Per tre milioni di anni l’unica forma di relazione è stata il rapporto personale. Poi, verso il X secolo avanti Cristo, in Mesopotamia la prospettiva cambia radicalmente: ci si ripartiscono le funzioni e su quelle si fa affidamento per garantire l’efficienza della città. Se mi serve un vaso, cerco un vasaio, senza preoccuparmi se rientri già nella cerchia delle mie conoscenze». Un bel vantaggio pratico, ma l’insidia è dietro l’angolo: «Nel momento in cui la funzione prevale sulla persona, si instaura lo schiavismo – avverte Buccellati –. E nel momento in cui l’organizzazione statale estende i suoi confini, si afferma la logica dell’impero».Non è storia antica, come dimostra Simoncini con una serie di esempi che mirano a revocare in dubbio il pregiudizio per cui solamente lo Stato potrebbe garantire la disponibilità della “cosa pubblica”. «È la mentalità che abbiamo visto in opera nei mesi scorsi a Bologna, in occasione del referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie – osserva –. Ma ciò che è di tutti è della società, non dello Stato. Altrimenti si cadrebbe nell’assolutismo di Mussolini, al quale si deve l’assioma “tutto nello Stato, niente fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato”». Si parla di noi, di nuovo, come lascia intendere anche Carbajosa Pérez, che indica proprio nella cattività babilonese il punto di massimo attrito fra la visione funzionalista, tipica della Mesopotamia, e il personalismo biblico, le cui radici affondano nella vicenda di Abramo. Chiamato, non a caso, da Ur, la metropoli dei Caldei. «Non diversamente dalla scrittura, che ha nell’amministrazione le sue prime applicazioni, anche la città distribuisce i compiti, incasella le persone, rende più efficienti le funzioni», insiste Buccellati. La pioggia rallenta un po’, il “Va’ pensiero” aleggia da lontano, ma non si può fare a meno di provare un brivido di inquietudine quando Simoncini propone la sua versione del Codice di Hammurabi nostro contemporaneo: «Tutti hanno diritto a tutto», sintetizza. L’Imperatore in persona non avrebbe saputo fare di meglio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: