
Arturo Benedetti Michelangeli in baita - -
Siamo nel Trentino occidentale, dove dalla Val di Sole si dirama la piccola Val di Rabbi. È qui, in un minuscolo abitato abbracciato dai boschi, la baita alpina che per tre decenni ha fatto da rifugio ad Arturo Benedetti Michelangeli. Un caso particolare ha determinato la scelta del luogo. Sul finire degli anni ’50 alcune costruzioni fatte di tronchi massicci che si trovavano nei pascoli alti, baite stagionali risalenti a un secolo prima, vengono smontate pezzo a pezzo e rimontate in valle, mantenendo la struttura originale. La moglie del grande pianista in visita alla Fiera Campionaria di Milano si imbatte nel progetto, glielo segnala, lui ne rimane subito persuaso e decide per l’acquisto.
Di carattere schivo e scontroso com’è, Michelangeli trova un’immediata sintonia con la valle isolata e tranquilla, dai ripidi fianchi boscosi. L’allestimento della baita lo appassiona e vuole sia arredata nello stile tipico. Riserva le stanze del piano terra agli allievi dei suoi corsi di perfezionamento, ciascuna dotata di un pianoforte. Al primo piano pone la sala comune, con la tipica stube e il caminetto, al secondo le camere da letto e il proprio studio. Quando gli allievi aumentano, e sono americani, slavi, in particolare giapponesi, una cerchia di eletti a cui non chiede alcun compenso, fa costruire un’altra baita accanto alla prima, dove nella sala più grande trovano posto i suoi due Steinway a coda. Gli allievi restano anche per lunghi periodi e instaura con loro un clima famigliare, una vita di comunità. È bravo in cucina e la sera gli piace fare da mangiare per tutti, per poi restare a chiacchierare fino a tardi.
Nella piccola valle, ancora poco turistica, il suo arrivo fa scalpore. Non passa inosservato quest’uomo alto e slanciato, dall’aspetto severo, che ha qualcosa dell’antico aristocratico. Lui però allaccia fin da subito rapporti semplici e naturali con i valligiani. Occupa con discrezione un posto di membro della comunità, che lo tiene in grande considerazione e gli concede la cittadinanza onoraria, l’unica che accetterà fra le molte offerte ricevute. Tutti lo conoscono e ne apprezzano la schiettezza, l’atteggiamento sempre affabile e disponibile. Il che è abbastanza sorprendente da parte di quel personaggio complicato che è stato sempre considerato Michelangeli, di esasperata sensibilità, solito a comportamenti scostanti, capace di disdire un concerto per un dettaglio fuori posto.
Il rapporto di maggior confidenza è quello con la signora Gemma, la governante che lo assisterà per tre decenni. Dobbiamo a lei, che è mancata qualche anno fa, e alla figlia Franca allora bambina, le testimonianze più dirette e affettuose. Nelle pause del suo studio al pianoforte, col perfezionismo che può portarlo a restare una giornata intesa sullo stesso passaggio, il Maestro va a fare la spesa a Malè, nella vicina Val di Sole, dove è trattato familiarmente dai negozianti. Apprezza le passeggiate nel bosco e verso le belle cascate della zona, ma non su terreni troppo scoscesi perché l’agilità non è il suo forte. Fra gli aneddoti più gustosi c’è la sfida a braccio di ferro con don Sandro, parroco del paese, poi redarguito per questo dalle autorità, a cui viene intimato di non mettere mai più a rischio quelle mani portentose. Toccante il ricordo di un inverno in cui Michelangeli, al rientro da una tournée insieme a due allieve giapponesi, propone a Gemma di fare un albero di Natale, per i suoi bambini e per quelli della frazione. Dice di non averlo più avuto da quando era piccolo. E agli addobbi pensano le ragazze giapponesi, che ne ricavano di bellissimi anche solo con le carte di caramelle e cioccolatini.
Non solo permette alla signora Gemma di portare sul lavoro i bambini, ma la esorta a farlo. Le foto lo ritraggono mentre li fa giocare sul prato o in slitta sulla neve. È un lettore assiduo di “Topolino”, appena terminato l’ultimo numero lo passa a loro e per questo a volte salgono da lui solo per vedere quanto gli manca. Ha la passione delle auto sportive e quando arriva alla guida di una Lamborghini “Miura” vanno più volte coi loro amichetti per ammirare qualcosa che lassù non si era mai visto, e lui mostra l’apertura delle portiere che si alzano come ali. È capace di trascorrere ore con loro, quando c’è gente che darebbe chissà cosa per stare con lui pochi minuti. Rivela con ciò tratti inaspettati, una fragilità nascosta, un’ingenuità fanciullesca, che sono forse il lascito di un’infanzia mancata o sacrificata a causa del talento fatale. Bisogna pensare a un bambino messo davanti al pianoforte a tre anni, che non frequenta alcuna scuola pubblica. A 14 anni il diploma. A 19 acclamato al termine di un concerto ginevrino come “il nuovo Listz”. Nella baita si sente al sicuro e abbandona i modi alteri, con cui sembra voler nascondere una scontrosa timidezza.
Vengono in tanti a cercarlo, a chiedere di vederlo e per difendersi dagli ospiti indesiderati, giornalisti o fotografi, può ricorrere a misure estreme. Ha fatto posizionare dei tubi di gomma e all’occorrenza dice: “Gemma, apra l’acqua!”. Accoglie invece gli amici cari che restano anche a lungo. Carlo Maria Giulini con la moglie. Nino Rota che si ferma lì a comporre anche mentre il Maestro è via, il solo che ha il permesso di toccare il suo pianoforte. Livio Conta, pittore e scultore e suo ritrattista ufficiale. Silvio Pedrotti, fondatore coi fratelli del Coro della SAT, il principe dei cori di montagna, per il quale Michelangeli realizza numerose e splendide armonizzazioni, unica digressione compositiva per lui, votato solo all’interpretazione pianistica.
Abiterà fino agli ultimi anni le baite di Rabbi, che saranno poi cedute a privati, dopo infruttuosi tentativi di farne un museo. Così ora è possibile solo osservarle da fuori. Immaginare di veder comparire il Maestro sul ballatoio di legno, come appare in certe foto scattate proprio lì: con l’immancabile maglia a collo alto, la sigaretta fra le dita, mentre appoggiato al parapetto sorride, o alza lo sguardo verso i boschi e le montagne che cingono la valle.