giovedì 30 settembre 2021
Dall'infanzia difficile agli allenamenti con un trapezista, il numero 1 costaricano, rivale di Donnarumma al Psg, è un cattolico che non ha mai nascosto la sua fede: «Dio è il mio motivatore»
Keylor Navas, 34 anni, portiere costaricano del Psg

Keylor Navas, 34 anni, portiere costaricano del Psg - Ansa/Epa

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Ora che Gianluigi Donnarumma ha fatto il suo bel debutto in Champions League con la maglia del Psg siamo fiduciosi che almeno fino alla prossima partita ci risparmieremo il tormentone del “povero” panchinaro più incompreso d’Europa. Ma non siamo assolutamente certi che appena si accomoderà di nuovo in panca non verrà fuori l’ennesimo teatrino mediatico di illazioni e voci di mercato, alimentato ad hoc anche dal suo procuratore. È vero, nessuno pensava che il portiere della Nazionale italiana campione d’Europa dovesse far notizia solo per le partite giocate o viste della panchina (ben 7 su 10 gare ufficiali). Ma sapeva benissimo lui, e soprattutto il suo agente, che a Parigi tra i pali non c’era proprio uno che passava di lì per caso. Perché Keylor Navas è un signore che solo di Champions ne ha vinte tre consecutive (dal 2016 al 2018). E non può essere considerato uno scandalo se viene schierato titolare. Se il futuro è tutto dalla parte del 22enne Gigio, non meno talento ha il veterano Keylor, 35 anni il prossimo 15 dicembre. Parliamo di un fuoriclasse che pur avendo già una bacheca gonfia di titoli, non ha mai vissuto sugli allori e ha sempre dovuto ricominciare daccapo, anche quando si era già affermato come uno dei migliori portieri del mondo.

La sua storia parte da un piccolo paese del Costa Rica, San Isidro de El General. Di famiglia povera, il piccolo Keylor ha vissuto tutta l’infanzia lontano dai genitori costretti a emigrare negli Stati Uniti per aiutare la famiglia. Eppure nonostante le ristrettezze Navas si afferma subito tra i pali, prima in patria, poi in Spagna, dalla seconda divisione con l’Albacete al Levante, fino alla chiamata del Real Madrid. Una scalata fatta di sacrifici e allenamenti duri e sui generis, perché Keylor pur di migliorare chiede aiuto, pagandolo di tasca propria, a un trapezista del circo Carampa di Valencia. Così a furia di acrobazie e tuffi spettacolari conquista la titolarità e la leadership anche del Real con cui vince tutto: campionato e Supercoppa, tre volte la Champions, Supercoppa europea e quattro volte il Mon- diale per club. Poi però arriva Courtois e l’addio che lo porta al Paris. E questa è la sua terza stagione al Psg, dove ha già conquistato Ligue 1, due Coppe di Francia, una Coppa di Lega francese e una Supercoppa. Senza dimenticare la finale di Champions, persa l’anno scorso contro il Bayern Monaco. Leader indiscusso anche a Parigi, l’arrivo in estate di Donnarumma è solo l’ultima prova per uno che ha vissuto momenti ben più difficili. E li ha sempre superati, per sua ammissione, grazie all’aiuto della fede cattolica, che non ha mai nascosto, in campo e fuori. «Il calcio è una benedizione di Dio, ma non la cosa più importante della mia vita». Sulla sua storia è uscito anche un film nel 2017 Hombre de fe (“Uomo di fede”) presentato anche a Cannes: la regista Dinga Haines, racconta la vita del “portiere di Dio”, il ragazzino costaricano che ha realizzato un sogno che sembrava impossibile.

Ed è Keylor stesso a confidarsi: «Sono nato in una famiglia umile in Costa Rica e sì, ogni sera ci incontravamo per recitare il rosario. Niente mi ha dato più energia e forza di quel momento di preghiera. Mia nonna, che è la persona con cui sono veramente cresciuto, ci ha ricordato che l’unica persona che dirige i nostri destini e nella quale dovremmo riporre la nostra fiducia era Dio. Ci ama, ci cura con la tenerezza di un padre». C’è anche l’ammissione di aver toccato il fondo: le cattive compagnie, le feste, l’alcol... E lì è venuta fuori la fede ricevuta da bambino: «Ho accolto Cristo nel mio cuore e il mio eroe ha cominciato a essere Gesù l’unico che mi motiva sempre». Frequentando un gruppo di preghiera cristiano ha conosciuto sua moglie, Andrea Salas, che ha sposato nel 2015 nella chiesa cattolica di Santa Ana, a San Josè. «Ogni volta che Dio vuole, si realizza un sogno che nemmeno io stesso avrei potuto desiderare. Come quando ho incontrato mia moglie». Oggi hanno tre figli e Keylor non smette di ringraziare Dio per il dono della famiglia, un altro fattore della sua forza interiore. La preghiera scandisce le sue giornate, ha rivelato, e i tifosi lo vedono inginocchiarsi sempre e allargare le braccia anche prima delle partite: «Lo faccio da quando avevo 5 anni. Mi inginocchio per mettere tutto nelle mani di nostro Signore. Non gli chiedo di non prendere gol, ma offro ogni partita a Lui».

Nessuna spavalderia e nessuna vergogna: «Continuerò a farlo anche se c’è chi mi insulta». Del resto il versetto biblico che ama di più è Galati 1,10: «Se cercassi ancora di compiacere le persone non sarei un servitore di Cristo». Quello con Donnarumma si preannuncia come un ballottaggio duro che andrà avanti per tutta la stagione. Ma Keylor è pronto ad affrontarlo alla sua maniera: «Ci sono stati tanti momenti in cui le cose non sono andate come avrei voluto, tante pietre lungo il cammino, ma ho sempre chiesto al Padre di darmi pace, fiducia e saggezza perché potessi continuare a lottare, a trovare forza. Anche accettare che i miei desideri siano una cosa, ma la sua volontà è ciò che funziona. Dio ha sempre qualcosa di meraviglioso per ognuno di noi ed è sempre meglio di quanto ci aspettiamo».

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